(S. NERI) – Adesso che l’avventura romana di Luis Enrique è finita tra gli applausi scroscianti d’una grande quantità di detrattori, maggioranza assoluta dei tifosi romanisti, vien voglia di lasciarci andare in qualche immaginaria osservazione più divertita che fondata su valori tecnici dei quali in questo momento non conviene granché parlare. L’ipotesi è soltanto suggerita da un gioco dei pensieri, delle provocazioni, con un tocco d’ironia e dei sogni che spesso fanno parte dei contenuti dei dialoghi tra le persone, soprattutto in questa bottega ove nessuno deve render conto a nessuno delle proprie opinioni […]
Adesso, dicevamo, che l’avventura romana dello spagnolo è finita con una sua pubblica confessione di resa, vien proprio voglia di chiedersi che cosa sarebbe successo se nel giorno in cui Luis Enrique dichiarava la propria volontà d’abbandonare il campo e la Roma lasciava trapelare il proposito d’ingaggiare Montella, allenatore del Catania, se in quello stesso giorno, dicevamo, da Catania fosse rimbalzata una notizia stupefacente. E cioè che il presidente della squadra siciliana si proponeva d’ingaggiare Luis Enrique, garantendogli lo spazio, la serenità ambientale e il tempo necessario per dar vita al suo progetto. Sarebbe stato un colpo di scena fantastico, dettato non tanto dal coraggio quanto dalla fantasia creativa dei dirigenti siciliani.
Provate a immaginare. Salvo che naturalmente sarebbe stato impossibile realizzare questo disegno in quanto Luis Enrique, sostenuto dall’orgoglio che nutre il carattere degli spagnoli e dal suo personale, avrebbe detto di no. Gli sarebbe sembrata, dopo il fallimento romano, una sorta di retrocessione, un castigo più grande ancora della resa operata sul campo di fronte alla piccola assemblea dei suoi giocatori. Eppure a Catania egli avrebbe trovato, forse, l’ambiente ideale per dimostrare davvero il suo valore. Valore, badate bene, nel quale molti ancora credono fermamente. Persino molti di quelli che hanno festeggiato con un applauso il suo abbandono della tolda romanista […]
Luis Enrique era giunto a Roma troppo digiuno delle consuetudini d’una città e d’una comunità non sempre disponibili ai ferrei principi del suo sistema di lavoro. Aveva detto agli amici che qui aveva trovato un ambiente viziato a cominciare dalle abitudini dei giocatori. E qui s’era già rivelata la sua difficoltà d’inserirsi e poi di muoversi al comando d’un gruppo di ragazzi pur disponibili ma meno avvezzi ad un rapporto così severo col gioco, con le regole, con le sintonie del gruppo verso l’intransigente allenatore.
Naturalmente Montella è stato più fortunato. Il giovanissimo allenatore che ora approda alla guida della Roma ha percorso un cammino inverso: si è fatto per un anno le ossa a Catania ed ha dimostrato di sapersi muovere con intelligenza e robustezza di muscoli. La stessa cosa è successa a Conte il quale ad Arezzo e poi a Siena e infine a Bari ha percorso il felice cammino di crescita e d’avvicinamento alla Juve. Luis Enrique non ha avuto nulla di tutto questo. E adesso se ne va lasciando in molti (quasi tutti) un dubbio che prescinde dai famosi applausi di cui sopra. Quanto vale “veramente” il giovane allenatore asturiano? Nessuno sa dirlo né vi sarà per ora un riscontro delle sue qualità nel nostro movimento calcistico. Peccato. Se il Catania avesse realizzato il colpo di scena del quale è divertente e praticamente inutile parlare, giacché si tratta di una semplice alchimia, avremmo certamente avuto per il prossimo campionato un tema molto coinvolgente e meritevole di grandissima attenzione