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CORRIERE DELLO SPORT Sogno boemo

Zdenek Zeman

(G. DOTTO) – Trigoria è deserta, ma l’eccitazione palpabile. La faccia antica di Zeman sta per tornare.

Torna sempre, anche quando sembra inabissata. E’ fatta della stessa materia dei sogni. Il suo calcio sinfonico, le sueMarlboro e i suoi cerchi di fumo. Tornano sempre. Puoi amarlo o detestarlo, il Boemo, non ci si libera di uno come lui. Avevamo scritto solo pochi giorni fa: “No, Zeman non tornerà mai più alla Roma”, ma era solo un modo nemmeno tanto travestito di dire a orecchi capaci d’intendere “quanto sarebbe bello che tornasse”.

Chissà perché hanno tutti fretta in città, smaniosi di sapere, ma Baldini e Sabatini hanno il sacrosanto diritto (dovere) di prendersi tutto il tempo che serve per scegliere chi mettere in panca al posto dell’amato Luis Enrique. Gli va dato atto, comunque vada, d’essere caduti in tentazione. Una grandiosa tentazione. Che cresce di ora in ora. […]

Comunque vada, qualunque sarà la loro rispettabile scelta, uno scrupolo non devono avere Baldini e Sabatini. Quello di fare della demagogia. Di cedere alla pancia dei tifosi. Qui non è in gioco la pancia, ma qualcosa che sta tra la cavità del cuore e quella della memoria. Zeman resterà quello che è, anche nel caso non dovesse tornare a Trigoria. Una terra promessa più che un nome, nostalgia di quello che è stato e forse potrebbe continuare a essere. Tredici anni dopo, ma potrebbero essere cento. Basta accendere radio, girare per le strade, i bar e ascoltare la festa sotto pelle. “Dimmi che è vero, che torna”, un avvocato sessantenne con l’occhio umido. “Con lui vado anche in “B”, il cameriere del ristorante qua sotto che non va allo stadio da una vita. “Zeman che torna è già la vittoria più grande”, il più lucido di tutti, un ex giovane abbonato che ricorda ancora i tagli di Tommasi e Di Francesco e sogna quelli di Lamela. […]

Con lui sì, con uno come Zeman, lo striscione della Sud, “Mai schiavi del risultato”, ha definitivamente senso. Di più, nasce da lui, dal suo calcio, quello striscione. Lo vogliono, come si vuole la vertigine al luna-park, per schiantare il prossimo e soprattutto se stessi, e poter dire “io c’ero”. No, non è vero che conta vincere. Vincere sono bravi tutti, è facile, ma poi ti resta quella manciata di sabbia tra le dita. Quello che conta è dare legna alla memoria, a quel concetto improbabile, sfuggente che è la vita. Zeman, il boemo, è anche questo, probabilmente a sua insaputa, ma questo che importa, per chi si ubriaca di calcio per ubriacarsi d’altro. Un bagno collettivo nel rito della gioia bambina, contro quell’oltraggiosa e anche un po’ sordida sconfitta che è il diventare adulti, pensosi mammiferi costretti a fare i conti con la propria fine.
[…]

Zeman non è una favola. Zeman è un magnifico allenatore di oggi. Zeman è il calcio come dice Totti, ma è più del calcio e questo lo diciamo in tanti. Un presente ruggente, scaltro, capace di iniettare dosi di realismo nella sua folle vertigine e una feroce rivalsa dentro che ne fanno, a 65 anni, un’arma micidiale oltre che la miglior scelta possibile. Non ascoltino Baldini e Sabatini i dozzinali incartatori di salame all’ingrosso che spacciano cose come queste che state leggendo per bieco romanticismo al confine della demenza. Aspettare che Zeman torni a Trigoria è pragmatismo allo stato puro. Lucidità feroce. Zeman è la droga dei nostri anni migliori. Crea dipendenza, ma non fa male.

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