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GAZZETTA GIALLOROSSA Una volta c’era il sogno americano…Ora gli americani vendono i sogni

DiBenedetto Pannes

Doveva essere l’anno zero della rinascita romanista, la stagione dalla quale ripartire alla grande con la tanto osannata e abusata “rivoluzione culturale“, il passaggio di consegne da una vecchia e compassata visione calcistica a una nuova visuale futuristica del calcio a trecento sessanta gradi. L’avvento degli americani, dopo una lunga ed estenuante trattativa, rappresentava l’introduzione di qualcosa di nuovo nel marcio e appannato sistema calcio italiano: un gruppo ben assemblato d’imprenditori, almeno sulla carta, pronti a far crescere il brand As Roma in tutto il globo e decisi a costruire uno stadio di proprietà, marchio di garanzia indelebile per una successiva e possibile rivendita del club in un futuro non troppo lontano.

Verrebbe da chiedersi, e la domanda sarebbe più che lecita, se realmente questi imprenditori d’oltreoceano capiscano qualcosa di calcio. Si, il calcio quello vero, quello europeo, quello che trovava le sue radici nelle lontane campagne uggiose britanniche, non il football made U.S.A  fatto di concezioni forse ancora troppo lontane dalle nostre realtà. La risposta alla domanda sulle reali capacita’ del consorzio bostoniano, si puo’ trovare nelle molteplici difficoltà di gestione pratica che mister Tom DiBenedetto e la sua “banda” di soci hanno trovato nell’approccio al mondo italiano: troppo spesso durante l’anno dovevano arrivare segnali forti e chiari da chi, teoricamente, ci stava mettendo faccia e soldi; messaggi diretti agli uomini di fiducia italiani, lasciati troppo liberi di decidere cosa dire e come fare in ogni momento della stagione.

Forse per gestire un club non basta qualche traversata oceanica e decine di conference call, non basta designare tre ottimi dirigenti dall’alto profilo come Baldini, Sabatini e Fenucci e lasciarli nelle mani di una banca che, frequentemente, sta manifestando il proprio malessere per il comportamento dei soci americani. La storia della Roma racconta di presidenti padroni, di gente che si è sempre assunta le proprie responsabilità, personaggi che, per il bene della societa’, hanno fatto tutto il possibile per rendere la squadra sempre più grande. Un anno fa si parlava di rivoluzione, d’introduzione del “metodo americano“, di soldi da investire per far diventare la Roma da una Principessa una Regina.

Ora a dodici mesi di distanza cosa succederà? La piazza romana aspetta segnali: il primo e’ arrivato forte e chiaro con l’addio di Luis Enrique, l’istantanea di un progetto fallito anche sul campo. Ora e’ arrivato il momento del bagno d’umiltà per chi ha sbagliato tutto, o quasi, durante l’anno: e’ il momento di cospargersi il capo di cenere e di ripartire subito per il bene della Roma e della sua gente. Meno filosofia caro Baldini, meno sofismo nel raccontare le difficoltà d’annata…Con Luis Enrique, la tua scelta esterofila per la panchina, el projecto non e’ decollato e forse, per farlo decollare una volta per tutte, dovrai ritornare sulle tue scelte e riportare al “Fulvio Bernardini” il figliol prodigo Montella. Toccherà poi al giramondo Sabatini allestire una rosa all’altezza del nome del club per il quale lavora: nomi da Roma, giocatori pronti, non semi sconosciuti brasiliani o argentini trattati fumando sigarette in qualche ristorante sudamericano. Calciatori in grado di permettere il salto di qualità, il ritorno nell’Europa che conta: quattro, cinque nomi di spessore, nomi caldi che riaccendano la passione e l’ardore del popolo romanista dopo un anno di delusioni.

Rome wasn’t built  in a day, dicono da Boston…Qui un anno e’ passato e siamo ancora costruendo le fondamenta…Non dello stadio, ma bensì del progetto!!!

Nicolo’ Ballarin

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