(T. Damascelli) – Il dieci giugno del DuemilaundiciLuis Enrique sbarcava all’aeroporto di Fiumicino tra coriandoli e bandiere americane.
Incominciava il sogno suo e della Roma. Liquidato Vincenzo Montella, il popolo giallorosso, e non soltanto, era ubriaco di barcellonismo. Guardiola era inarrivabile, impegnato con l’università catalana, meglio puntare sul supplente, reduce dall’asilo blaugrana. Undici mesi dopo, ieri pomeriggio, Luis Enrique ha preparato la valigia e annunciato alla Roma e ai romanisti che la gita turistica si è conclusa. Fine del sogno, fine dell’avventura.
Da domenica prossima sarà un ex, uno dei mille, nemmeno rimpianto. Al suo posto torna il Vincenzo Montella di cui sopra. La commedia all’italiana propone uno dei suoi grandi atti di irresistibile comicità. Il tecnico asturiano paga errori e omissioni, non tutti esclusivamente di sua pertinenza. Sedotto e abbandonato da un ambiente che prima straccia la storia e poi si rituffa nella stessa. Non è Totti il suo carnefice. Non è De Rossi. E’ il sistema calcio nostrano che non ha pazienza e non perdona nulla. […] Quale società? Gli azionisti bostoniani che cosa sanno e conoscono del nostro football e della Roma? I neodirigenti, Baldini e Sabatini, avevano giurato di morire insieme con il loro allenatore, sul quale avevano costruito progetto e propaganda, ma secondo usi e costumi italiani, al momento più opportuno hanno fatto un passo indietro, lasciando Luis Enrique un uomo solo e non più al comando.
Lo spagnolo esce umiliato e sconfitto. Nulla ha aggiunto alla storia e poco alla cronaca romanista. Ha avuto la presunzione di allontanare dallo spogliatoio una figura di grandissima perizia come Bruno Conti e ha preferito condurre la propria avventura facendosi affiancare da uomini di lingua e cultura spagnola, a differenza di Josè Mourinho, porto l’esempio più illustre, che all’Inter aveva voluto con s´ Baresi e a Madrid, Karanka, esponenti della vecchia guardia e conoscitori del mondo interista e madridista.