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IL MANIFESTO Consegnateli a Zeman

Zeman

(A. Piccinini) – Non datevi troppa pena:consegnateli vivi a Zdenek Zeman. I reprobi, i traditori, i venduti, i corrotti, gli scommettitori online giustamente arrestati ieri mattina. Lasciateli faccia a faccia col maestro boemo che li avvolgerà di fumo guardandoli negli occhi. A lungo. Molto a lungo. Pronunciando tra un silenzio e l’altro litanie al limite dell’ipnosi come: «Anch’io ho una mentalità vincente ma non mi piace vincere a tutti i costi. Mi piace farlo rispettando le regole». Oppure: «Secondo me chi ha stress è l’operaio che teme per il proprio futuro e per quello della famiglia. I calciatori non possono avere questo stress, perché hanno tutta una vita davanti». Ripetete con me, forza: «Chi fa 13 al totocalcio non è un vincente». Non è un vincente, non è un vincente. Anatema pronunciato nel 1999 quando il Totocalcio esisteva ancora, e i trucchi, la rete delle scommesse, erano molto meno planetari di adesso. Era il giorno che Zeman lasciò la Roma nelle mani del «vincente» Fabio Capello, prima di ritirarsi lentamente e rovinosamente dalla scena, in Turchia, a Napoli, poi in provincia, mezzo Cincinnato, mezzo Don Chisciotte. Tredici anni dopo i giornali sportivi ci campano di nuovo con la favola del boemo che, vinto il campionato di serie B, forse potrebbe assaporare la rivincita di una vita, guidando di nuovo la Roma. Una coincidenza interessante.

È a questo punto che, nella mente dei reprobi sfiniti dal confronto psicologico col maestro dal volto scolpito nel legno, cominceranno a farsi strada alcuni pensieri. Tutti velenosi. Chi, a pochi giorni dal Campionato Europeo, appassionato di calcio e svegliato al mattino presto dall’arresto di 19 tra calciatori di primo piano e meno noti faccendieri non ha rivissuto il 1982 e il 2006, anni di Calcioscommesse e Calciopoli, e Mondiali vinti dalla Nazionale «per reazione», «per dimostrare che il calcio è pulito»? Chi non ha tirato un sospiro di sollievo dopo essersi accertato che la propria squadra non è coinvolta? Un sorriso almeno, un lazzo agli avversari nel fango.
Solo allora, come indovinando questi e altri pensieri, Zdenek Zeman con un gesto tra il paterno e il perentorio indicherebbe loro i gradoni dello stadio vuoto. Da risalire uno per uno saltando a piedi pari, con una camera d’aria piena di sabbia sulle spalle, secondo l’esercizio devastante riservato da sempre ai suoi allievi. Mai come questa volta l’artigianale, persino sadica, biomeccanica «comunista» del maestro boemo ci apparirebbe finalmente in tutta la sua carica redentrice.
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