(E. Masetti) – A Verona ha fatto gol, a Verona ha riso, a Verona ha sperato prima e pianto poi. Daniele De Rossi torna oggi a guidare il centrocampo dopo aver scontato la squalifica contro il Napoli e lo fa in uno stadio che, due anni fa, avrebbe potuto regalargli la più grande gioia della sua carriera. Ha vinto un Mondiale, due Coppe Italia e una Supercoppa e lo ha fatto sempre da protagonista. Gli manca lo scudetto, ci è andato vicino due volte, in entrambi i casi per qualche minuto è stato campione d’Italia. Catania 2008 e, appunto, Verona 2010. In panchina Spalletti nel primo caso e Ranieri nel secondo. Era il sedici maggio, la Roma si giocava il titolo con l’Inter dopo un campionato indimenticabile. I nerazzurri giocavano a Siena contro Curci e Rosi, i giallorossi erano al Bentegodi seguiti da 20mila tifosi.
Di Vucinic e Daniele i gol che fecero sperare nel miracolo. Furono inutili. Ed è storia nota. Non era, quella, la prima volta che De Rossi segnava al Chievo. Lo aveva già fatto nella stagione 2005-2006. Sei anni e un giorno fa visto che era il trenta aprile: doppietta in un quarto d’ora nel primo tempo, in porta Fontana. Una partita con mille occasioni, terminata 4-4 (per la Roma in gol anche Taddei e Dacourt) che vede Daniele prima approfittare di una dormita colossale di Lanna e poi, su cross di Taddei, saltare più in alto di tutti e regalarsi la gioia di una doppietta. La prima della sua carriera in serie A. A completare quella giornata anche l’assist, sempre per Taddei, per il gol del momentaneo vantaggio giallorosso. Una giornata da ricordare, anche se per De Rossi il Bentegodi sarà sempre legato a quella partita di quel maggio là, l’ultima trasferta libera prima dell’introduzione della Tessera del Tifoso. «Siamo venuti qui per vincere – le sue parole quel giorno al fischio finale, con gli occhi ancora lucidi – e speravamo che a Siena succedesse qualcosa. Questo comunque resterà un anno indimenticabile. Non so dire altro, ho abbracciato Totti ma sarebbe ingeneroso dire che noi romani eravamo gli unici colpiti. Ho visto gente nata a migliaia di chilometri da Roma piangere nello spogliatoio. Il Mondiale? Adesso non ci penso. Penso solo a quello che poteva essere e non è stato ».
Sono passati due anni, sembra una vita. Soprattutto per quello che è successo a Roma e alla Roma. De Rossi è sempre lì, al suo posto. Col contratto rinnovato da un paio di mesi, con un Europeo alle porte e una stagione difficile da mettersi alle spalle. Spesso quest’anno è stato il migliore, negli ultimi tempi ha dovuto fare i conti con qualche problema fisico di troppo, ha scoperto, chissà, di poter giocare un giorno anche come centrale di difesa. Adesso non ci pensa. Per necessità lo ha fatto e se serve lo rifarà, ma si sente un regista. E’ lì che da il meglio di sé. E vuole farlo a partire da oggi per provare, quantomeno, a raggiungere un posto in Europa League. Al momento del rinnovo ha chiesto – e ottenuto – dalla società garanzie sulla competitività della squadra, restare fuori dalle Coppe sarebbe una delusione troppo grande. Così come sarebbe una delusione l’addio di Luis Enrique, il tecnico che De Rossi, anche in tempi non sospetti, ha sempre sostenuto. Pubblicamente e privatamente. Daniele si è esposto per lui, adesso, come i compagni, aspetta di conoscere la sua volontà. Pronto, se decidesse di restare, a partire insieme a lui con i migliori auspici anche l’anno prossimo.