(M. IZZI) – Quando arriva la telefonata del Romanista sono assieme a Massimo Germani, in un pellegrinaggio culinario-sportivo-collezionistico che ci ha portato nientemeno che a Reggiolopresso la casa natale di Carlo Ancelotti. Provo ad immaginare “il bimbo”per queste stradine di campagna giocare a battimuro sui muretti a secco quando vengo richiamato all’ordine: all’orizzonte non c’è il numero “4” della Roma di Liedholm ma nientemeno che Villas Boas. «Chi era costui?». Viene dal Portogallo, ha 37 anni, filosofia di gioco avveniristica … ricorda molto da vicino l’identikit di Sven Goran Eriksson.
Entrambi 37 anni (qualora i rumors odierni abbiano seguito naturalmente),entrambi con un passato calcistico in Portogallo (Benfica e Porto),entrambi con una coppa europea prestigiosa conquistata alle spalle(Coppa Uefa ed Europa League). Gemelli separati alla nascita? Certamente no, ma un parallelo si può azzardare, magari non mancando di sottolineare assieme ai punti di contatto anche le divergenze tra le due situazioni. Partiamo dal momento dell’arrivo. Nel 1984, checché se ne dica Erikssonnon fu l’opzione unica della Roma. Viola dopo il derby di ritorno del torneo 83/84 cercò di contattare Giovanni Trapattoni, in seguito si esercitò in un caparbio tentativo di convincere il Barone a ritornare sui suoi passi. Il presidente caricava lo svedese sulla sua automobile e lo portava “a fare un giro”. «Con questo sistema – mi disse una volta Liedholm – ho visto mezza Roma, anche i quartieri periferici».
Resosi conto dell’impossibilità di raggiungere il proprio obiettivo, Viola punto su Eriksson. Sven ai suoi occhi possedeva almeno tre pregi fondamentali. In primo luogo aveva ammirato il gioco del Benfica quando la Roma era stata eliminata dai portoghesi nei quarti di finale di Coppa UEFA. Incrociando Sven all’Olimpico si era spinto talmente in là da dirgli: «Un giorno lei allenerà la Roma». In secondo luogo Eriksson prometteva di essere in grado di porre rimedio a quello che sembrava l’unico tallone d’Achille della Roma, vale a dire la scarsa velocità. La zona veloce di Eriksson aveva l’ambizione di essere un programma aggiornato e corretto della ragnatela e della zona di Liedholm. Infine, dato da non disprezzare, Eriksson avrebbe percepito solo il 50% dell’ ingaggio di Liedholm. Anche Villas Boas, arriverebbe dopo il profilarsi e il tramonto di altre candidature anch’egli con la missione di dare continuità a quanto fatto, quantomeno dal punto di vista dell’impostazione, dal proprio predecessore. C’è però una sostanziale differenza che bisogna mettere in evidenza.
Liedholm lasciava ad Eriksson la Roma più grande di tutti i tempi. Non è un caso che la prima partita vista dagli spalti dell’Olimpico da Sven fosse la finale di Coppa dei Campioni. Arrivò in gran segreto allo scalo di Fiumicino e per non destare attenzioni il Club si guardò bene dal farlo accomodare in Tribuna d’onore destinandolo in Monte Mario. Tutto inutile, visto che appena sceso dall’aereo, Eriksson aveva trovato ad aspettarlo Francesco Campanella che era anche riuscito a scambiare qualche parola con lui. L’inizio di Eriksson fu duro, con qualcosa come 5 pareggi consecutivi, tanto da essere impietosamente ribattezzato “Mister X”. Nonostante la partenza di Di Bartolomei, si trovò a dover palesemente gestire una squadra che non era stata disegnata da lui e che non era jn grado di garantirgli quelle caratteristiche che considerava prioritarie. Questo senso d’incompiutezza lo porterà probabilmente a radicalizzare alcune scelte compiendo “assassini tecnici” come la sostituzione di Cerezo con Bergreen. In mezzo a tutto questo anche il girone di ritorno del campionato 85/86, che sembrò materializzare la realizzazione dell’utopia. Poi a pochi passi dal traguardo il Lecce pose fine alla favola. Il compito di Villas Boas, certamente non sarebbe meno impegnativo.