(P.Franchi) – Potrei dire semplicemente: non ho niente da aggiungere alle cose – bellissime – che ha scritto ieri Tonino Cagnucci, e salutare cortesemente. Ma non sarebbe giusto dire addio a questo campionato che, se Dio vuole, finalmente se ne va, senza ringraziare Luis Enrique per tutto quello che ci ha regalato. Nella speranza che, andandosene via, non si porti appresso tutti i suoi regali. Lo so, lo so, molti di voi, quelli convinti di saperla lunga, quelli che confondono il realismo con il culto dell’intruglio, si metteranno a ridere. Ma quali regali?, diranno sogghignando, il settimo posto, una serie di sconfitte spesso disastrose, il mental coach o come cavolo si chiama, quell’arietta supponente che Luis Enrique ostentava di fronte a chi gli rinfacciava gli insuccessi, quell’integralismo ideologico da asturiano emigrato in Catalogna al quale non sapeva rinunciare, neanche quando le sue tesi si scontravano frontalmente con i fatti, uscendone, come è ovvio, strabattute? Ma non le condivido neanche un po’. E non penso di essere del tutto in errore, se è vero, come è vero, che come me la pensano non solo la società ma, dal Capitano in giù, tutta o quasi la squadra.Quali regali? L’elenco è lungo, e comincia dalla lezione di stile, se volete di civiltà, che Luis Enrique ha dato, calcisticamente e non solo, lungo tutta la sua breve stagione romana e romanista in un mondo che con lo stile e la civiltà ha da sempre parecchi problemi. Ma a me piace, salutandolo e ringraziandolo, ricordarne uno su tutti. Nel nostro Dna, almeno da quando sono finiti i tempi cupi di una Rometta che pure amammo di intensissimo amore, c’è l’ambizione del bello, del buono e del giusto: l’ambizione assieme matta e ragionevole di cambiare il mondo. Ce lo fece capire per primol’irraggiungibile Liedholm, l’ultimo dei grandi filosofi classici, ce lo rammentò Zeman e, a modo suo, pure Spalletti. Quando tutto questo sembrava archiviato, e forte era il rischio di perdere non un posto in Europa, ma l’anima, Lucho è venuto a ricordarci che almeno per noi vale, deve valere, l’antica massima di Max Weber, secondo la quale, se non si cerca l’impossibile, con tutte le sofferenze e le delusioni del caso, non si realizza nemmeno il possibile: così ci ha restituito una speranza, e ci ha fatto sentire, anche nei giorni tristi, un po’ più romanisti di quanto già fossimo. Chiunque verrà al suo posto (spero, naturalmente, che sia davvero Montella) avrà prima di tutto il compito, o meglio il dovere, di coltivarla, questa ambizione nostra, così difficile da spiegare a chi romanista non è, che ci portiamo nella testa e nel cuore. Grazie, Lucho, molti di noi (certo non quelli che ti hanno paragonato a Carlos Bianchi…) ti ricorderanno con nostalgia. E buona fortuna