(C. FOTIA) – Che non sarebbe stato un pranzo di gala lo sapevamo. Sapevamo che qualsiasi rivoluzione che coinvolgesse insieme l’idea di gioco, l’assetto societario, l’approccio con il sistema del calcio italiano, avrebbe incontrato ostacoli a non finire, e l’avevamo messo nel conto.
Tuttavia, se pensiamo che sarebbero bastati pochi punti in più per dare un senso diverso a una stagione che, per forza di cose, doveva essere di passaggio, ci assale un’amarezza che non vogliamo nascondere, fingendo che nulla sia accaduto. E’ accaduto che un giovane e talentuoso allenatore (noi ci fidiamo, prima che del nostro, del giudizio di mostri sacri del calcio come Arrigo Sacchi e Pep Guardiola, di quello di uomini di calcio come Baldini e Sabatini, di calciatori immortali come Totti e De Rossi, non di quello dei tanti soloni incipriati che bocciano chiunque non corrisponda ai loro cervellotici identikit), non abbia retto lo stress di una pressione mediatica, di campagne organizzate per destabilizzare l’avvio della nuova Roma condotte da denigratori di professione, dotti ipocriti, mestatori, vedovi di gloriose stagioni passate che meriterebbero ben altro ricordo che grottesche lettere che nessuno legge. Qui non c’entra niente la libertà di critica che, anche volendo, nessuno può mettere in discussione. Qui non c’entrano niente i giudizi, necessariamente impietosi, sulle scelte e le partite sbagliate. Qui c’ è una società che ha inaugurato una stagione nuova, nel massimo della trasparenza, senza nascondere nulla e offrendo al giudizio dell’opinione pubblica e del popolo dei tifosi ogni sua scelta, da quelle tecniche a quelle disciplinari, dai bilanci ai progetti, come quelli suo nuovo stadio.
Tutto è avvenuto sulla scena pubblica, nulla è stato fatto al sol scopo di ottenere il favore di questo o di quello. Anche l’addio di Luis è avvenuto con questo stile, un nuovo stile Roma, fatto di coerenza e di coraggio che, ne siamo certi, continuerà anche in futuro, perché su questo Franco Baldini è stato chiaro: si va avanti con il nostro progetto. Il problema non è di Luis Enrique, né di Franco Baldini e tantomeno della proprietà americana. Il problema è una mentalità che è del calcio italiano ma che a Roma si esprime con incredibili vette di parossismo, una mentalità provinciale che non apprezza le idee nuove, la fantasia e l’innovazioneNel candido addio di Luis, chiaro e onesto come sempre, c’è la denuncia di una situazione giunta a un limite di guardia. La Nuova Roma ha toccato fili scoperti, esponendo la brutta fotografia del passato: un’arretratezza manageriale, una dipendenza dai (piccoli e grandi) centri di potere mediatici economici e politici.
Sono costoro che si son messi di traverso fin dal primo momento, intuendo che la strategia della nuova società, se coronata da successo, li avrebbe costretti a rapportassi in modo del tutto diverso alla Nuova Roma. C’è chi scrive che l’addio di Luis sia il fallimento di questa “magnifica avventura “, e chiede a Baldini di recitare il mea culpa, di tornare a farsi proteggere dai vecchi centri di potere. Non hanno capito niente: incassata con sofferenza la rinuncia di Luis Enrique, Franco Baldini ha rilanciato, chiedendo un “voto di fiducia” al prossimo Consiglio D’Amministrazione, per andare avanti con le idee di cui è portatore. Siamo certi che l’otterrà. E che la utilizzerà bene, magari rinunciando a un eccesso di buone maniere. Per il futuro: meno fioretto e più sciabola. La Rivoluzione Romanista, dunque, fa tesoro delle sconfitte e riparte. Se la guida sarà Vincenzo Montella, come tutto sembra far credere, noi gli saremo vicini con affetto e stima, con la mente e con il cuore, al contrario di chi, volendo solo distruggere la Nuova Roma, oggi lo adula pronto a fucilarlo ai primi errori. Intanto, lasciateci salutare Luis con il rimpianto dei grandi amori che finiscono per l’ineluttabile durezza della vita.