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IL ROMANISTA La rivoluzione non va tradita

Franco Baldini

(M. Izzi) – Alla redazione piace sollecitarmi su argomenti che mi stanno particolarmente a cuore e tutti sanno che per Fulvio Bernardini ho un debole … e il debole si traduce in ricerche e qualche scoperta.

Mi è stato chiesto di ricostruire la stagione 1949/50 in cui il “vate” assunse la responsabilità tecnica della Roma. Cosa significò il tramonto di quell’esperienza nella storia della Roma? Tanto, tantissimo, un’eclissi in cui culminò e si avviò a compiersi il periodo più amaro della storia della Roma. Qualcuno può vederci un parallelo con la situazione odierna, il sottoscritto non ci prova perché Bernardini fatico a paragonarlo anche con Totti e non concedo l’ apertura del confronto a nessun altro. Andiamo comunque con ordine: Fuffo chiuse la sua avventura nel calcio di vertice nella stagione 1938/39. Faceva la spola tra i fanghi di Casamiccola e le spiagge di Ostia quando sul Littoriale lesse che la Roma lo aveva posto in lista di trasferimento. Una mossa, indegna, vergognosa e neanche Vincenzo Biancone, Direttore Sportivo che lo conosceva da una vita, si degnò di prendere carta e penna per scrivere due righe al glorioso capitano.

Ripresosi dalla brutta sorpresa, il nostro decise di continuare a giocare, con spirito totalmente dilettantistico (…) nella Mater, votandosi alla carriera giornalistica e allacciando collaborazioni con Il Travaso delle Idee, La Tribuna, Il Popolo di Roma e Il Corriere dello Sport. Nella Mater, in seguito alla malattia del tecnicoMigliorini, Fulvio prese la doppia veste di allenatore- giocatore, portando la sua squadra aziendale ad una storica scalata culminata con la promozione in serie B. Nel luglio 1949 Renato Sacerdoti e Leandro Meloni, colpiti dallo stile di gioco della Mater, contattarono Fulvio. In breve si concretizzò una proposta di un contratto triennale ratificato dal presidente Restagno. Per Bernardini non fu una scelta di convenienza, visto che le 175 mila lire al mese garantite dalla Roma, erano esattamente quello che gli era garantito dal contratto giornalistico. L’ex mito di Testaccio tornò perché aveva avuto la netta sensazione di poter vivere un’esperienza esaltante, magari togliendosi lo sfizio di conquistare quello scudetto che gli era sempre sfuggito da calciatore. Il Vate, però, venne chiamato, come avrà modo di dire in seguito, «a cancelli chiusi», per coprire una campagna acquisti deficitaria. Non si tirò indietro, la squadra venne comunque rifondata.

Arrivarono Bacci, Lucchesi, Merlin, Spartano, Tre Re, Zecca, Baldieri, Augusto Bernardini, Colognesi, D’Angelo, De Carolis, Fabbri, Gambini, Malaspina, Marra, Morabito, Nicoletti, Redeghieri, Stocco, Taccola, Cardarelli, Benedetti e a torneo iniziato Arangelovich … 23 nuovi giocatori, quasi tutti giovani alle primissime armi. A questo si aggiunse una rivoluzione tattica, Fuffo (…) insisteva sul sistema integrale e sulla teoria degli spazi liberi. Nonostante alcuni abbaglianti colpi d’ala (…), la squadra navigava in zona retrocessione. A tre giornate dalla fine, a Venezia, Fulvio avendo subodorato un’atmosfera poco salubre chiarì che se avesse avuto sentore di un accordo di qualsiasi tipo avrebbe denunciato tutto e tutti. La Roma perse per 2-1 e al ritorno nella capitale Fulvio, che sin da novembre non aveva avuto un buon feeling con Sacerdoti, venne esonerato. Fu un errore tragico, venne buttato nella pattumiera il capitale più grande della Roma. Bernardini era il futuro del calcio italiano. La Lupa, salvata nelle ultime tre partite dall’intervento provvidenziale di Luigi Brunella, retrocesse la stagione seguente quando, forse per contrasto, venne affidata la squadra al vecchio Baloncieri. Bernardini dopo tre, quattro mesi d’inattività, venne convinto da Sergio Andreoli, suo ex pretoriano nella Roma, a prendere la guida della Reggiana. Il buon lavoro a Reggio Calabria gli procurò l’ ingaggio al Vicenza e dopo un anno e mezzo ecco la Fiorentina.

Al suo arrivo in viola, Fulvio trovò una situazione disastrata, come nella sua avventura in giallorosso. Gli esiti però, questa volta furono opposti, come lo stesso tecnico raccontava: “(…) Mi ritengo un discreto tecnico di calcio, silenzioso e paziente nel momento della creazione, nella creazione di un collettivo, magari poi polemico e chiacchierone nel momento in cui raggiungo lo scopo. Ricordate di quando arrivai a Firenze all’inizio del girone di ritorno con la Fiorentina all’ultimo posto, mi pare in coabitazione con la Pro Patria? Una squadra spaccata in due con un assetto difensivo fortissimo sulla carta e sbagliato sul campo, con un centrocampo fumoso, con un attacco quasi nullo. C’era da mettersi le mani nei capelli, ma nemmeno questa scappatoia, perché i capelli ne avevo pochi allora come adesso. Vi dirò che trovai dirigenti comprensivi per i quali le mie parole erano vangelo e mi dettero, via, via, sempre maggiore stima”. A proposito, a Firenze arrivò lo scudetto.

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