(C. Fotia) – Scrivo queste righe per commemorare il ventesimo annivesario della strage di Capaci per la stessa ragione che ha spinto Giuseppe Manfridi a parlare dell’attentato di Brindisi e del terremoto in Emilia.
Possiamo noi che facciamo giornalismo sportivo ignorare quei grandi eventi che si “conficcano” nella nostra memoria e si associano ad avvenimenti sportivi che restano impressi proprio perchè segnano un passaggio d’epoca? Mi viene in mente l’attentato a Togliatti e la vittoria di Bartali al Tour de France che (…) evitò la guerra civile in Italia. Naturalmente non fu cosi, perchè il leader comunista aveva compreso subito che avrebbe dovuto dare immediate indicazioni “pacifiche” e cosi’ fece. Questo per dire che la vita degli eventi sportivi e di chi li segue si intreccia spesso con la storia civile di un paese. Onestamene devo dire che non ho alcun ricordo sportivo legato alla strage di Capaci.
Ricercando su Internet scopro che il 24 maggio, il giorno dopo la strage di Capaci, si giocava Roma-Bari, 2 a 0 per la Roma e l’addio di Rudi Voeller ma quella partita io non la vidi. Arrivai a Palermo quasi direttamente dai palazzi del potere romano dove seguivo per “il manifesto” le votazioni per il nuovo capo dello Stato che si avvitavano su se stesse senza via d’uscita, dopo la trombatura di Giulio Andreotti tra le cui gambe era stato gettato, nel marzo di quello stesso anno, il cadavere del suo plenipotenziario in Sicilia, Salvo Lima, garante del patto tra la politica e Cosa Nostra. Questo adesso è un fatto acclarato. Per averlo detto allora, insieme a Sandra Bonsanti, collega di “Repubblica”, nel corso di una rovente puntata di “Samarcanda”, la trasmissione di Michele Santoro e Sandro Ruotolo, rischiai fisicamente il linciaggio da parte degli amici di Salvo Lima (…). Mentre dall’aeroporto corro verso il luogo della strage incrocio in senso opposto il corteo presidenziale che sta riportando a Roma il vicecapo dello Stato, Giovanni Spadolini, che si lascia alle spalle la Beirut italiana e torna nei Palazzi in disfacimento. Simbolo di un sistema politico che sta cadendo sotto i colpi di Tangentopoli, nel quale la mafia sta perdendo i suoi vecchi punti di riferimento e ne cerca di nuovi
. L’odore, lì a Capaci, è quello ferrigno della morte, della polvere rossa che il vento di scirocco trascina con sé nell’aria che sa di esplosivo, di catrame ancora caldo. Per terra, pezzi di tela militare sbattuti dal vento, due mazzi di fiori di campo poggiati su un cumulo di terra. Per duecento metri l’autostrada non esiste più, è stata cancellata, spazzata via. Ecco così sono morti Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonino Montinaro, Vito Schifani, Rocco Di Cillo. Un cronista di Radiomontecarlo mi dice solo quattro parole :”It’s a war”. L’aveva compreso, Falcone, dopo l’attentato fallito alla sua villa dell’Addaura, quando parlò di “menti raffinatissime” che l’avevano ordito. Oggi l’ombra dello stragismo si allunga ancora sul nostro paese, dopo l’attentato di Brindisi. Io non credo alla pista mafiosa, perché la mafia ha scelto di abbandonare la strategia dell’attacco militare, e, nella complicità o nell’indifferenza della politica, ha conquistato le roccaforti dell’economia del Nord, si è insinuata nel tessuto del paese come un veleno sottile, col quale in troppi hanno imparato a convivere. E’ parte di un sistema di malaffare e di corruzione che corrode la politica e la democrazia. Ma anche questa è una strage: di libertà, di diritti, di cittadinanza. E’ giusto dirlo oggi, insieme a questa folla di ragazzi e ragazze con i quali sto navigando verso Palermo, per ricordare quel che accadde quando loro non erano ancora nati. Ed è per questo che Francesco Totti questa sera è in campo con la nazionale magistrati, addirittura da portiere. Perché agli appuntamenti con l’impegno civile, checchè ne pensino Repubblica e Francesco Merlo, Totti non manca mai.