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IL ROMANISTA Sabatini e la maschera di Nils

Walter Sabatini

(M. Izzi) – Tempo di compleanni (auguri a Luis Enrique) e anniversari (8 maggio 1983 lo scudetto più bello della storia del calcio e scusate se è poco), un dato indicativo per un pezzo come questo basato esclusivamente sul filo della memoria. Parto in realtà da un desiderio personale, mi piacerebbe molto intervistareSabatini, un personaggio anomalo, affascinante. Quando lo vedi, corrucciato e in lite con l’ eterna sigaretta, ti viene da pensare che avrebbe benissimo potuto dirigere il Rick’s Cafe del film Casablanca. Mi sembra di vederlo, in completo di smoking bianco e papillon nero piegato sul pianoforte: «Suonala ancora Sam». Mai banale, incisivo e corrosivo, colto ma stringato, smaliziato ma sensibile. La speranza in futuro di avere il piacere di scambiare due chiacchiere con il DS giallorosso rimane sempre. Viceversa, un desiderio che è destinato a rimanere inappagato è quello di intervistare il Sabatini calciatore. Anche quella avrebbe potuto essere una bella opportunità. Ci pensavo dando un’occhiata ad alcune foto scovate in un vecchio numero di Giallorossi (e che dunque si debbono, probabilmente, alla macchina fotografica del mitico Tedeschi). Mostrano Sabatini assieme a Chinellato, Maggiora, Bruno Conti e Agostino Di Bartolomei. Una cena divertente e divertita dell’ autunno 1976, in cui il nostro eroe sembra divertirsi un mondo. Commuove l’immagine che mostra Di Bartolomei (con una camicia jeans che sarebbe attuale anche oggi) sorridente. Particolare che sembra confermare la versione secondo cui il capitano al di là del proverbiale riserbo, amasse anche divertirsi assieme ai ragazzi della sua età e fosse tutt’altro che un musone. Sabatini che assieme a Giorgio Rossi è l’unico nella Roma di questa edizione ad aver vissuto quei giorni e quei personaggi potrebbe tracciare in maniera estremamente lucida un parallelo tra quella Roma di Liedholm (e le sue difficoltà) e questa Roma di Luis Enrique ( … con le sue difficoltà). Esistono dei punti di discontinuità inconciliabili. Quella stagione, 1976/77, segnava infatti la fine del primo ciclo del Barone che sarebbe tornato a Milano per costruire il “Diavolo” vincitore dello scudetto della stella, mentreper Enrique questa annata ha rappresentato il debutto assoluto. Liedholm, inoltre, era già un santone del calcio italiano, con un carisma enorme. Si era trasferito in Italia alla fine degli anni ’40 e da quel momento aveva messo radici. Per il giovane tecnico asturiano il discorso è completamente diverso, quello di questa stagione è stato un allunaggio in una realtà calcistica sconosciuta e per molti versi con problematiche inedite. Detto questo, ed era doveroso, ci sono anche dei punti di contatto. La Roma del primo ciclo di Liedholm era una squadra fortemente legata alla “linea verde” voluta da Gaetano Anzalone. Un gruppo giovane, inesperto ma con grandi talenti in erba. Anche quella squadra era frutto di un progetto triennale che aveva avuto il suo acuto nel sorprendente terzo posto del 1975, subito indicativamente ribattezzato come: “L’anno d’oro della Roma”. Senza entrare nelle valutazioni tecniche Nils seppe gestire i momenti difficili (e ce ne furono di tremendi soprattutto nella prima stagione, ereditata da Scopigno, quando si trovò ad un passo dall’ultimo posto in classifica) con una freddezza e una saldezza da autentico fuoriclasse. Le sconfitte, immancabilmente, servivano per far maturare i “ragassi” … così poi come in seguito le tante vittorie venivano conseguite al motto del proverbiale: «i miei ragassi devono ancora crescere molto. Nostro avversario squadra più fotte del mondo». Luis Enrique, (è solamente il mio parere, mentre Sabatini potrebbe dare una valutazione estremamente più interessante) da questo punto di vista ha uno stile diverso. In sala stampa le sconfitte lo hanno visto provato come al termine di una maratona. Il Barone era pirandelliano, una “maschera”, Luis Enrique un libro aperto e per questo, paradossalmente, destinato a raccogliere dai media un interesse morboso. Sabatini forse, di fronte a queste valutazioni tornerebbe a ridere come ai bei tempi del 1976, ma giocare a fare un parallelo, in fin dei conti non fa male a nessuno

 

 

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