(F. Paladini) – Che faccia ha un ultrà pentito? Ha la faccia del cane bastonato, cerca di apparire un bravo ragazzo, indossa a giacca, ha pagato la sua colpa e si dice sicuro di non ripetere più le “cazzate” (gli ultrà, ancorché pentiti, parlano così) che gli hanno procurato guai giudiziari e la lontananza dall’unico, vero, grande amore la squadra del cuore. Non solo, l’ultrà pentito si dice disponibile a raccontare, a spiegare ai suoi coetanei che la normativa dentro gli stadi (specie dopo l’uccisione dell’ispettore Filippo Raciti, a Catania, il 2 febbraio 2007) è molto più dura, per cui se ti beccano solo perché hai in mano un fumogeno, che magari ti ha passato il tizio di fianco, rischi tre o quattro anni di “daspo”. Il “daspato” è il membro di quella comunità (a febbraio erano 4.747 in tutta Italia) che comprende tutti i tifosi che abbiano ricevuto la sanzione amministrativa o penale chiamata appunto Daspo, acronimo che sta per divieto di accesso alle manifestazioni sportive. Per evitare che il daspato vada ugualmente allo stadio si prendono anche misure cautelari, come obbligarlo a recarsi al locale commissariato al 10 , al 45 e all’80 minuto della partita di campionato, ma pure di coppa e degli incontri amichevoli.
La Questura di Roma ha svolto uno studio sui daspati della provincia: li ha chiamati tutti e 334 per sottoporli a un questionario e a un colloquio con uno psicologo. Hanno risposto in 151, quelli più morbidi, e di questi, ben 135 hanno accettato il colloquio. Prima notizia: le donne daspate sono poche ma tutte cattive, nessuna ha accettato di collaborare con il progetto. Seconda notizia, i daspati sostengono di essere ignoranti.E dicono: “Ma che avere un fumogeno è vietato? Io l’ho sempre fatto”. Oppure dicono di non sapere che è proibito scavalcare il recinto o passare in due alla volta nei tomelli di ingresso. Qualcuno ha anche la iella dalla sua parte. Fortunato Napolitano ha 27 anni e sta per laurearsi in giurisprudenza. Non è tifoso, è andato allo stadio tre volte in vita sua. L’ultima, due anni fa con degli amici. All’ingresso si accorge che ha dimenticato nel giubbotto un coltellino che usa per tagliare panini e sbucciare la frutta. Va spontaneamente da un poliziotto e gli consegna l’arma ma non viene creduto e viene daspato per tre anni. “Sono disperato, volevo partecipare al concorso come funzionario di polizia, ma sono stato punito per essere stato trasparente”. “Dopo i colloqui con gli psicologi 31 ragazzi hanno avuto una riduzione del Daspo, e in 12 casi la revoca assoluta, segno che il nostro lavoro di recupero ha funzionato” sostiene il questore Francesco Tagliente che è stato a capo dell’Osservato.
Edoardo D’Amko 20 anni, romanista, bandito per tre anni (poi uno condonato) dalle manifestazioni sportive per aver scavalcato un cancello d’ingresso. Ma cosa confessa un ultrà “dissodato” al suo analista in divisa? Dice Rita Staccone, psicologa della polizia: “Quelli che sono venuti spontaneamente al colloquio lamentano il fastidio per l’obbligo di firma che li costringe a trascorrere tutti i fine-settimana in città, la paura che il Daspo possa avere conseguenze nella ricerca del lavoro, l’essere comunque considerati dei criminali. Ma, più di tutto, è la rabbia, in alcuni casi un vero dolore, per non poter andare più allo stadio per anni”. Sottolinea il concetto Letizia Mandaglio, vicequestore aggiunto che ha seguito il progetto: “Ci scrivevano sui questionari frasi del tipo: “La domenica senza stadio non è vita”, “La domenica non vivo più”, “La Roma mi manca, mi dà la voglia di vivere”. Altri ci hanno riferito vere sindromi depressive stati di ansia, sfiducia in se stessi, vergogna”. Ma su una cosa concordano tutti, non c’è sufficiente informazione: “Dovrebbero mettere dei cartelli all’ingresso con scritto cosa è vietato e cosa si rischia”. E poi una considerazione finale: ma come i giornali e le tv dedicano interi servizi alle coreografie delle curve, si sperticano in lodi del tipo: “Ecco il 12 giocatore”, e poi se prendi in mano un fumogeno diventi un sorvegliato speciale e ti trattano da delinquente? Giusto, vero. Ma coi tempi che corrono, nemmeno le curve, signora mia, sono più quelle di una volta.