(M. Pinci) – L’intervista l’ha rilasciata poche ore prima di lasciare il Pescara e dire sì alla Roma. Un sì che ricuciva una ferita vecchia di 12 anni. Ma che per Zdenek Zeman è ancora attualissima. “Sono convinto che il rimpianto presidente Sensi subì pressioni per non rinnovarmi il contratto alla Roma nel 1999”, ha rivelato il tecnico boemo al bisettimanale transalpino France Football. Quasi uno sfogo, certamente amaro, per ricostruire un passato che, dal punto di vista del neo tecnico romanista, fu condizionato da quei poteri forti che aveva sfidato nell’estate del 1998: “Altre pressioni furono esercitate su altri presidenti. Mi chiamavano in tanti, anche da grosse società, ma dopo qualche giorno non mi chiamarono più. È chiaro che tutti erano condizionati da questo ‘sistema’ che reggeva il calcio italiano”.
Un’amarezza che il tempo non ha potuto attutire, almeno a leggere le parole di Zdenek Zeman. Eppure, Franco Baldini e Walter Sabatini gli hanno regalato, forse nel momento meno atteso, a 65 anni, quella seconda occasione attesa a lungo: “Io la Roma la amo follemente – giura il boemo – e fossi stato persuaso che la mia venuta le avrebbe arrecato un qualsiasi pregiudizio, non avrei firmato. Ma non mi considero un cavaliere Jedi che vuole far trionfare il bene ovunque. Sono soltanto un allenatore normale, la cui ambizione è proporre un calcio di qualità per far divertire i tifosi”. E proprio per questo a lui è stata affidato il compito più difficile:ricostruire la Roma dopo il fallimento barcellonista di Luis Enrique. Eppure, con l’asturiano qualcosa in comune resta. Soprattutto l’idea di sport: “Per me non conta solo vincere – ricorda Zeman – il modo in cui si vince è altrettanto importante”.
Anche per questo, forse, è da sempre stato etichettato come un bellissimo perdente. “Quasi tutti – conferma – sono convinti che a vincere siano gli allenatori. Io invece penso che a vincere sono le società, e se uno non ha alle spalle una società forte è difficile ottenere dei titoli. È da vedere se certi allenatori che vincono nelle grande piazze, sarebbero capaci di farlo in realtà meno forti. Spesso accade che non vincano più”. Per questo, chi come lui ha fatto del gioco offensivo e spettacolare la propria bandiera, non può restare esaltato dal dilagare della logica del risultato: “Penso che, a parte poche eccezioni di squadre che cercano un certo tipo di calcio, come il Barcellona o la nazionale spagnola, tutte le altre stanno in campo soprattutto per non fare giocare l’avversario”, la sua fotografia sul calcio mondiale. Una mosca bianca, in questo senso, il suo Pescara: spettacolare e vincente. “Il mio capolavoro, c’erano le condizioni ideali per lavorare. Dicono che ora curo con maggiore attenzione la fase difensiva? Non credo… Nel calcio esistono due fasi ma se chiedi al giocatore cosa preferisce fare quello risponde sempre: la fase offensiva. Quanto agli spettatori, secondo voi, cosa preferiscono? Preferiscono vedere gol e spettacolo, la squadra che va all’attacco, e non i vari catenacci. Quindi seguo quello che dice e chiede il popolo”.
Ma il popolo, in questo periodo, non può che restare disgustato dagli sviluppi del calcioscommesse. Dopo le sentenze, il processo sportivo dovrebbe toccare anche qualche “big” di serie A. Una prospettiva verso cui è rivolto il pensiero di Zeman: “Mi sorprende un po’ che calciatori di primo piano si ritrovino in mezzo, perché capisco che il giocatore di Serie C, che non riceve da mesi lo stipendio, possa avere delle tentazioni… Sia chiaro non lo giustifico, anzi lo condanno, ma almeno lo capisco. Chi proprio non riesco a capire sono i giocatori famosi e ben pagati. Io ai ragazzi dico sempre ‘continuate a fare calcio per passione, anche ad alto livello, non mettendo sempre il guadagno in primo piano’. È il mio modesto contributo per provare a cambiare la mentalità”. Quel calcio che, 13 anni fa, Zeman avrebbe voluto far uscire “dalle farmacie e dagli uffici finanziari”, è invece entrato anche nelle sale scommesse. Un problema quasi irrisolvibile, anche se Zeman non dispera: “Questo discorso nasce da un problema di fondo nel senso che il calcio per molti è diventato solo un grande business. Di queste cose se ne è parlato a lungo, mi auguro che per una volta si decida di intervenire per fare un calcio diverso”.
Quello da giocare sul campo. Quello dei fuoriclasse. Per lui, il numero uno resta ancora Totti, che ritroverà con sé nella capitale. “Un esempio di giocatore che ha sempre vissuto il calcio allo stesso modo: quando era un giovane sconosciuto ed oggi che è il fuoriclasse che conosciamo”.
Fonte: repubblica.it