Prima di tutto bisogna dirgli grazie. Grazie per aver accettato di tornare. Perché i ritorni non sono mai cosa facile, ma quello di Zeman sulla panchina della Roma lo è ancora di più. Nel 1999 se ne andò fra malumori e delusioni, aprendo la porta a Fabio Capello. Che poi vinse il terzo scudetto giallorosso. Altri tempi.
Chi lo conosce sa bene che non è tornato per i soldi. Lo ha fatto per passione e per il gusto della sfida. Pensiamo al presente. Stavolta è stata una scelta a furor di popolo: sondaggi e petizioni (strepitosi gli amici di “Datece Zeman” su Twitter), addirittura mail private al presidente negli Usa per convincere la dirigenza a puntare sul boemo mentre Montella o Villas Boas sembravano già entrati a Trigoria.
Insomma, se Luis Enrique era la scommessa (persa), Zeman dovrebbe essere garanzia di spettacolo e bel gioco. E chissà che non si possa anche vincere qualcosa. Di sicuro la gente tornerà allo stadio contenta di farlo. Pure quando ci scappa la sconfitta. Tanti ricordano ancora un 4-5 con l’Inter di Ronaldo – quando era ancora il Fenomeno – in cui a fine partita era un diluvio di applausi. Senza nemmeno aver portato a casa quel pareggio che sembrava scontato.
Come nel calcio inglese. E in tempi di combine, “magheggi”, giocatori slot-machine e burattinai dell’Est, avere Zeman in panchina rappresenta un motivo enorme d’orgoglio. “Mi piace vincere spettando le regole. Chi fa 13 al Totocalcio non è un vincente. Lo sono quelli che lavorano e cercano di migliorarsi andando avanti secondo determinati codici”, disse nella sua ultima conferenza alla Roma, ripubblicata da Il Messaggero.
Bentornato Zdenek, facci sognare.
Fonte: corrieredellasera.it