(A. Polverosi) – Prandelli sta pensando a un cambiamento sostanziale nel sistema di gioco della Nazionale, col passaggio alla difesa a tre. Anche uno dei suoi maestri (Arrigo Sacchi) arrivò alla vigilia di un Mondiale, quello americano, con l’idea di cambiare modulo, dal 4-4-2 al 4-3-3, prima che la commissione dei senatori (insieme a Baresi e Costacurta c’era anche Albertini, oggi vice presidente federale) lo spingesse a tornare sui suoi passi. Era stato Zednek Zeman a indurre Arrigo ad una riflessione, a un riesame del suo dogma, fino a cancellarne alcune certezze e a riempire la vigilia di Usa ‘94 con nuovi dubbi. Il boemo aveva appena concluso la sua ultima stagione di Foggia, portando la squadra a un passo dalla zona-Uefa. Il calcio di Zeman era sfrontato come lo è ancora oggi e il contagio era forte. A un innovatore come Sacchi non poteva sfuggirne il senso, anche se il suo obiettivo finale era diverso: come Zeman voleva segnare un gol più degli altri, però senza mai perdere l’equilbrio. Per quella ragione Beppe Signori, giocatore che Zeman aveva costruito come esterno sinistro nel suo tridente foggiano e che quell’anno, nella Lazio, aveva vinto la classifica dei cannonieri, rinunciò alla finale: si sentiva (lo era) un attaccante vero non un esterno sinistro che doveva riempire la fascia con la corsa per garantire un assetto sempre equilibrato. Dopo un paio di amichevoli premondiali, Sacchi tornò al 4-4-2 e raggiunse la finale di Los Angeles, persa contro il Brasile ai calci di rigore, ma quel tentativo di 4-3-3 rimasto inespresso è ancora oggi un suo rimpianto. Arrigo ha smesso da tempo di allenare, consumato dall’ansia e dalla frenesia. Il boemo invece continua la sua strada, con la flemma e i silenzi di allora. Sembra rinascere ogni volta che ha in mano una squadra di promesse, una squadra che poi si realizza nelle sue mani.Ancora oggi è il maestro di quel gioco e, come dice Prandelli, «chi vuole imparare il 4-3-3 vada a vedere le squadre di Zeman»