(D.Galli) La cosa più romanista nel giorno più romanista, quello della presentazione della prima maglia – rosso porpora, il bordo arancio a contrasto, il colletto, pantaloncini bianchi e calzettoni finalmente rossi, griffata Kappa – la dice un baby di classe. Un prospetto di campione. Perché è così che chiamano i fuoriclasse in itinere, i potenziali golden boy, quei ragazzi speciali nel cuore e nel dna. Come Valerio Verre. «Noi romanisti – racconta strappando l’applauso della stampa – dobbiamo andare in tutto il mondo ad onorare la maglia, che per noi è speciale». E in quella maglia, dirà poi Franco Baldini, «vogliamo metterci dei campioni».
È tutto speciale, oggi. Speciale è la presentazione che la società fa dei suoi colori, speciale come la location: l’Ara Pacis, il tempio della pace, il simbolo dell’epica augustea, l’avvento di una nuova età dell’oro. Speciale come questo management che è sempre più una sintesi perfetta di marketing e amore, che sa tenere insieme il genio di Winterling – «ha una grande responsabilità: prima di lui, di tedeschi a Roma abbiamo avuto Goethe e Voeller», lo avvisa quel mattatore di Massimo Ghini – e la ferocia di Sabatini. La maglia è speciale come le parole di Brunoconti, mentore di Verre, che da padre di molti ragazzi del vivaio accarezza come un figlio: «Chi indossa la maglia della Roma, sa cosa rappresenta». Via di Ripetta, ieri. All’Ara Pacis c’è lo stato maggiore della Roma. Anzi, c’è la Roma. Ci sono Baldini e Sabatini, c’è l’ad Fenucci, c’è Baldissoni, l’avvocato architrave della cessione del club, prima ancora che un membro del Comitato Esecutivo, ci sono i membri del Cda come Benedetta Navarra.
Ci sono i dirigenti, tutti: Tonino Tempestilli, il responsabile operativo della biglietteria Carlo Feliziani ed Erik Solem, il manager che proprio della biglietteria ideerà le nuove strategie. C’è Bruno Conti. Anzi: Brunoconti. «Sai chi è Brunoconti?», dice Sabatini al figlio Santiago, che indossa la maglia di Totti. «Giocavamo nella stessa squadra – gli racconta il papà – ma lui era più bravo di me». Immenso.
Il padre che tramanda al figlio la leggenda dell’ala di Dio. Si chiamava Bruno Conti. Anzi, pardon, solito errore: è Brunoconti. Ghini lo chiamerà sul palco assieme a Tessari, Delvecchio, Nela e Candela. «Losi non è potuto venire», si giustifica l’uomo per metà presentatore, per metà attore e per intero della Roma. Giustificazione dovuta, Ghini fa bene a chiarire, perché Losi è la Roma come possono vantarsi di esserlo solo un’altra manciata di uominisimbolo. Come Totti e De Rossi, lontani solo fisicamente dall’Ara Pacis perché la maglia, almeno loro nell’universo, la portano con sé ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo. Il lancio sa di spettacolare, ma non è affatto un’americanata. È un tocco di magia. Lo suggerisce il posto, lo impone la data: il 7 giugno. Ottantacinque anni prima, un atto di fusione sanciva la nostra nascita. Quella della Roma. Una luce gialla e una rossa si incrociano, al centro guida Ghini. Fenucci fa gli onori di casa, rispolverando una sua vecchia passione. «Pensando a questa giornata – dice – mi è venuto in mente un parallelismo tra la nostra squadra e la location che ci ospita e da appassionato di storia romana ho pensato a quali sono stati i fattori di successi dell’impero romano: Roma è diventata grande grazie alla forza del suo esercito e anche noi vogliamo costruire una squadra forte, che intenda ripartire per arrivare a successi importanti. E abbiamo un generale che ha il compito di guidare questi ragazzi».
Il generale è Baldini, che un attimo dopo abbassa lo sguardo coprendosi il volto con le mani, mentre alla sua sinistra Sabatini sorride divertito e ammirato. «Roma – continua Fenucci – è diventata grande anche grazie alle sue strutture e anche noi stiamo cercando delle risorse, vogliamo le strutture, vogliamo lo stadio, che non deve rappresentare solo un fattore di sviluppo economico, ma anche la casa dei nostri tifosi. Siamo vicini alla presentazione della short list con le tre, quattro aree che abbiamo individuato. Poi parleremo con le istituzioni. Il terzo fattore è stato il sogno: Roma è diventata grande perché era il sogno per tutti i popoli europei e questo è anche il nostro sogno. Roma ha attratto una proprietà americana, ha attratto talenti da tutto il mondo e intorno a questo vogliamo costruire un grande club che diventi qualcosa al di fuori del Raccordo Anulare. Non ho parlato di conti – aggiunge Fenucci, accantonando per un attimo i bilanci e sfoderando del pragmatico romanticismo – ma di un sogno che si può realizzare». E come? Facile, sul campo. «Vorremmo allestire una Roma – aggiunge – che sia spettacolare e vincente. La nostra volontà è di costruire questa squadra dal basso con giovani, che l’allenatore possa far crescere». Ma i talenti dall’estero non vestono sempre una divisa. A volte, portano la giacca. L’esempio è Christoph Winterling, ex numero 1 del marketing dell’Adidas e da quattro mesi – «lo abbiamo tenuto rinchiuso nel Carcere Mamertino», dice Fenucci introducendolo alla stampa – a capo di quello giallorosso. «È la mia prima uscita, è vero, do il benvenuto soprattutto ai tifosi che ci seguono in tutto il mondo», spiega Winterling ricordando come l’evento sia trasmesso non solo da Sky e Roma Channel, ma pure in diretta streaming sul canale You Tube del club. Strano? Macché. Nuovo, semmai. In linea con l’obiettivo: «Quello di diventare un marchio globale, crescendo in Italia e in tutto il mondo».
Ecco la forza di questa rivoluzione. Ecco cosa voleva dire un anno fa il presidente DiBenedetto quando parlava della Roma come di una media company: il web al servizio di una società di calcio, i social network come strumento di diffusione della lupa capitolina. Dietro questo lancio, c’è una strategia di mercato, oltre che una ragione sentimentale legata alla data: «Per noi quest’evento e questa sera (ieri, ndr) con i tifosi, con cui festeggeremo il compleanno della Roma alle 19:27, ma anche la maglia della Roma, fanno parte di un’attività di marketing che abbiamo iniziato qualche mese fa – spiega Winterling – e che continueremo per i tifosi, che sono al centro della nostra attività. Sono contento di essere qui, all’Ara Pacis, un posto che rappresenta la storia ma anche la modernità. Due elementi per noi importanti. Perché vogliamo essere moderni e innovativi, ma non vogliamo mai dimenticare la storia della società e della città. Sono contento di essere qua anche per dare valore a questa maglia, un elemento che ci dà visibilità in tutto il mondo, dove abbiamo milioni di tifosi. Per l’immagine, questo è fondamentale. Sono contento di avere la possibilità di festeggiare con voi questo compleanno e allo stesso tempo di lanciare la maglia». Per l’immagine. Per la Roma. Le due cose coincidono, soprattutto oggi. La maglia per ora è una sola. Quella giallorossa. La seconda, bianca, sarà presentata durante la tournée negli States. La terza a Riscone di Brunico, in ritiro.
Strategie di vendita che non contrastano con quello che questi colori rappresentano. «La maglia – sottolinea Baldini – dà il senso d’appartenenza, poi oggi (ieri, ndr) è l’85esimo compleanno quindi è ancora più particolare. Con questa nuova maglia si torna al punto di colore che è tradizione della Roma». In panchina con Liedholm, vice del Barone nella cavalcata scudetto, l’ex portiere Luciano Tessari un po’ si commuove. Cos’è la maglia?, gli domanda Ghini. «La maglia numero 1 è la più difficile da tenere addosso. È la prima pelle, non la seconda, perché è la maglia che fa il calciatore e non il contrario». C’è chi la maglia l’ha persa. Sebino Nela lo ricorda con sincero dispiacere: «Purtroppo io ho giocato in un periodo meraviglioso in cui le maglie erano bellissime, maglie storiche, le ho regalate e me ne sono pentito amaramente. Perché la maglia è importante, ho dovuto sudare per riavere quella dello scudetto. L’avevo regalata a una ragazza ma l’ho riportata a casa. Volevo darle quella blu di Montecarlo, unica occasione in cui la Roma ha giocato in blu, ma non l’ha voluta».
C’è chi la maglia continua ad amarla pure ora che ha appeso gli scarpini al chiodo. Come Vincent Candela. «Questa maglia mi ha dato tanto come calciatore e come uomo. Me la ricordo molto più larga nel 96/97, poi più stretta l’anno dello scudetto. Rappresenta tutto per la squadra e per la Roma». Nella testa di Marco Delvecchio, invece, non c’è una sola maglia. C’è la Maglia. «Sono legato in maniera particolare a quella dello scudetto, ma mi sono piaciute un po’ tutte quante. Anche i tifosi sapevano quanto fossi affezionato alla maglia, tant’è che l’unica volta che l’ho lanciata in curva me l’hanno tirata indietro (ride, ndr)…». Per Brunoconti, la Roma è stato un regalo. Al papà. «La prima emozione è stata nel 73-74 quando so di aver fatto felice mio padre che era tifoso romanista. Poi di maglie ne abbiamo viste tantissime, anche meno belle». Meno belle, magari come quella della Pouchain. Fa niente, la maglia è la Roma. Non è materia tessile, è l’anima che si cela tra le fibre. «È come il primo inno, gialla come il sole, rossa come il cuore mio. Rappresenta tutto». Rappresenta il cuore. L’amore. La Roma.