(S. Romita) – Era uno dei tanti grandi derby di Marco Delvecchio. Una doppietta storica la sua. Era, quell’11 aprile 1999 uno dei derby destinato a passare alla storia per quel “Vi ho purgato ancora” esposto sul petto da un già maturo Francesco Totti.
(…) Nel secondo anno del primo ciclo zemaniano c’è stata questa partita che per lui sarà stata anche una partita da tre punti e basta, ma che per noi non fu così. E anche se non bastò per sovvertire il suo futuro di allora, ci aiutò molto a cambiare il nostro. Il passato raggiante degli anni Ottanta era infatti alle spalle da tempo. E lo splendido Duemila stava per aprire le sue porte. Ora Zeman è tornato, per continuare a scrivere altre pagine. Per fare meglio di quanto non fece alla fine degli anni Novanta. Per puntare, per sua stessa indiretta ammissione, dal quarto posto in su. Lui vuole bene alla Roma. E noi a lui. L’immagine è importante, senza alcun dubbio. Ma non ci sto all’immagine di Zeman – Madonna Pellegrina da portare in processione per quel che è e per ciò che rappresenta, più che per quel che vale. Perché Zeman vale tantissimo, come uomo, come uomo di calcio, e come tecnico.
La Roma di Baldini non ha fatto un contratto biennale, con opzione per il terzo anno, a un medico con cui abbiamo la presunzione di poter da soli curare il malato calcio. Il contratto del dopo Enrique è stato fatto allo Zeman universalmente riconosciuto, e finalmente, come uno dei maggiori allenatori italiani. Certamente il più autorevole. Daremo come sempre, e come è stato fatto anche con Luis Enrique, il nostro forte contributo per la guarigione di questo sport. E chiaramente con Zeman la cosa ci riuscirà particolarmente facile. Per far capire che mettersi d’accordo per un pareggio solo per convenienza, (e non voglio neanche parlare di soldi) non fa bene agli stadi. E che la legge del più furbo, nello sport, come nella vita, deve essere bandita, annullata, cancellata e severamente e impietosamente punita. E per spiegare bene a tutti che puntare con le proprie forze e la propria tenacia alla porta avversaria come unica missione dei novanta minuti assegnati, piuttosto che tirare a campare, è una lezione di vita prima, e di calcio poi. Uno Zeman che ha curato maggiormente la fase della difesa insegnando alla squadra a saper essere più corta? Probabile. Ma è lo Zeman di sempre quello che torna da noi oggi. Ed è lui stesso, sorridendo come solo lui sa fare in uno di quei due o tre minuti della giornata che dedica a questa attività, a smentire di aver curato un po’ di più “il non prenderle” rispetto al solo “darle di santa ragione”. Al fatto che il boemo ormai italianissimo non sia cambiato in nulla ci speriamo proprio tanto. Anzi, ne siamo più che sicuri.