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IL ROMANISTA L’Europa stregata dal giocatore “universale”

Daniele De Rossi

(D. Giannini) – Che è versato e spazia in tutti i campi dello scibile”. Si legge così sui dizionari alla parola “universale”. Una definizione che si adatta perfettamente aDaniele De Rossi.

A definirlo in questo modo, anche se non è certo il primo bensì semplicemente l’ultimo in ordine di tempo, è stato Cesare Prandelli. Sul finire della conferenza stampa di ieri al ct azzurro è stato chiesto di commentare la prestazione di Daniele contro l’Irlanda. Una partita sontuosa, riportato finalmente nel suo ruolo naturale, a centrocampo. Da principio Prandelli ha provato a nascondersi dietro ad una risposta diplomatica. Qualcosa del tipo: «Dovete chiederlo a Zeman». Poi non ha resistito a fare i complimenti al giocatore che gli ha consentito di risolvere fin qui tanti problemi: «Il ruolo di De Rossi? E’ un giocatore universale, si potrebbe esaltare proprio come giocatore capace di leggere la gara, ma soprattutto di risolvere determinati problemi durante il match ». Insomma, un irrinunciabile. In difesa, a centrocampo, se servisse magari pure in attacco. Da dove in fin dei conti aveva iniziato la sua carriera nelle giovanili giallorosse.

Ma è nel mezzo, a mostrare classe e muscoli, che De Rossi è diventato grande. (…) Perché Daniele è sempre stato l’uomo delle prime volte: capace di segnare all’esordio da titolare in Serie A (era il 10 maggio 2003, contro il Torino), capace di fare centro anche alla prima in Nazionale maggiore (il 4 settembre 2004 contro la Norvegia ci mise 4 minuti a trovare la porta). Lunedì a Poznan ha provato ad essere ancora più veloce. Il primo tiro degli azzurri è stato proprio il suo, al volo di sinistro dopo una cinquantina di secondi. Tanto per far capire quanta voglia aveva di sganciarsi in avanti come non aveva potuto fare contro Spagna e Croazia. La stessa voglia che traspare anche in occasione della rete del vantaggio di Cassano, con Given che sfiora e un difensore che ribatte appena oltre la linea. Lì, a un passo, c’era Daniele che con il consueto agonismo era pronto a spingere in rete di piede, di testa, di petto, di qualsiasi cosa. E la qualificazione è arrivata. Da ieri sera si conosce anche l’avversaria nei quarti, ma lui dopo la vittoria sull’Irlanda si era già lasciato sfuggire una preferenza: «Potrei dire Ucraina, ma non vorrei sbilanciarmi».

Non si sbilancia Daniele, resta concentrato sul campo, su un cammino europeo da proseguire il più a lungo possibile. E i romanisti a osservarlo, a vedere se riuscirà a trascinare l’Italia. Divisi a metà tra il desiderio di vederlo gioire in azzurro e quello di vederlo tornare presto in Italia. Per permettergli di riposare, di prendersi qualche giorno di vacanza e di essere a disposizione di Zeman non troppo in là nel tempo. Perché questo campione, questo giocatore universale, è soprattutto un calciatore della Roma. Alla quale si è legato praticamente a vita qualche mese fa, poco prima che iniziasse il momento peggiore della gestione di Luis Enrique. Tra poco si ricomincia, con Zeman e con una squadra che nel frattempo la società avrà provveduto a rinforzare. Ma che in ogni caso potrà contare su un fattore in più, un fattore che dà tranquillità sul futuro. Il fattore De Rossi. (…).

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