(M. Pinci) – «Ero il più forte in campo e quello che beveva di più», diceva di sé il grande George Best. Pensiero che oggi potrà far proprio, anche se soltanto per metà, l’ex romanista Cicinho. E certamente è la metà più dolorosa. «Ho avuto problemi con l’alcol: bevevo, fumavo e non riuscivo a fermarmi», la confessione shock alla tv brasiliana Record del laterale. Che il prossimo 30 giugno saluterà definitivamente la Roma, dove era arrivato nell’estate 2007 accolto da duemila persone a Fiumicino. Scomparendo poi nell’oblio, come il mattino dopo una sbornia. «Andavo a Trigoria, mi allenavo ma sapevo che la domenica non avrei giocato – racconta oggi Cicinho – e allora quando arrivavo a casa bevevo intere casse di birra e altri tipi di alcol, da solo o con falsi amici».
Uno sfogo intimo e profondo, per raccontare una dipendenza che ha sbriciolato la sua carriera, portandolo a un passo dal punto di non ritorno: «Non ho assunto droga solo per i controlli anti-doping, altrimenti l’avrei fatto», ammette l’esterno. Perché «l’alcol ti porta su quella strada, ed è la peggior droga che esista al mondo. Ero a pezzi, quando la Roma mi ha dato in prestito al San Paolo volevo lasciare il calcio, tutto. E ho mancato di rispetto al club che mi ha rivelato al mondo». Magari anche alla Roma, che certo non ha potuto contare sul giocatore per cui aveva pagato 9 milioni al Real. Tutto è cambiato dopo aver conosciuto Marry De Andrade, sposata in Italia, nella foresta di Rocca di Papa, e poi anche nella “sua” Pradopolis, in Brasile: sempre secondo il rito evangelico, fede a cui la neo sposa lo ha avvicinato. E grazie a cui Cicinho giura di aver dimenticato il passato: «Farò quello che Dio vorrà: giocare a calcio, o continuare nel mio cammino di evangelizzazione». Dalle discoteche della capitale al viaggio a Gerusalemme, per tre giorni, insieme alla moglie e al Pastore che li ha sposati: il percorso che ha cambiato la sua vita. E la birra diventa acqua passata.