(E. Pirari) – Giocava a pallavolo, pallamano, pallacanestro e baseball ma è cresciuto con il mito di zio Cesto, Cestmir Wycpalek, uno che prima di darsi al calcio per otto mesi sbucciò patate nel lager di Dachau. Tutto cominciò sulla panchina di Pinisi, borgo dove una mattina i mafiosi fecero fuori Peppino Impastato. Quando mancavano i soldi, quasi sempre, quelli del Pinisi lo pagavano in natura: selvaggina, fichi d’india e cicoria.
Tutto proseguì allo Zaccheria di Foggia, anno 1988. Oltre a essere un boemo che citava un altro boemo (Milos Forman), nell’88 Zdenek Zeman non era nessuno. Tutto si allungò con Pasquale Casillo, re del grano nonché custode di un riporto vertiginoso che ispirò il Frengo di Albanese.
Tutto si moltiplicò nella scia della sua asciuttezza, la sua di Zeman, uomo e allenatore scarno e concreto, nonostante tutto e sopra a tutto, sopra anche alle iperboli giornalistiche. Come commesso viaggiatore di idee Zeman è sempre stato imbattibile, un peso massimo, ma alla resa dei conti è uno che ha sempre detto che uno più uno fa due, e lì, all’interno di quel suo uno più uno, ha sempre chiuso il cerchio.
Un giorno, rivolgendosi ai detenuti di un carcere di Foggia un assessore se ne uscì con una frase da assessore: “Ragazzi, godetevi quest’ora di evasione insieme a Zeman”; allora con il labbro superiore Zdenek svirgolò la sigaretta verso destra e replicò: “Ragazzi, la prossima volta voglio vedervi in tribuna”. Nel bel mezzo della storia si affacciano i club che contano (le due romane, Napoli, Stella Rossa ecc.), e come disse lui i