(S.Mannucci) – Il capitano ha ragione. Fiuta la sòla, perché in quella Roma sparagnina, avventurosa e folle di fine millennio lui c’era. E pure Zeman, che vaticinava la verità scrutando le volute del fumo delle sigarette, e beandosi di quell’attacco atomico con Delvecchio capocannoniere, faceva spallucce davanti a una difesa che aveva sì Cafu, Candela e Aldair, ma anche Del Moro, Servidei e Wome. Quello Zeman malinconico poeta che sapeva cosa vendessero in certe farmacie, e che per le sue visioni da Padre Tiresia del pallone vide la Roma mortificata dagli arbitri più che dagli avversari, e alla fine della seconda stagione fu costretto a lasciare Trigoria masticando nicotina e bestemmiando sull’incompiuta. Arrivò Capello, e Sensi capì che non era più tempo di Pivotto Bartelt e Vagner, ma di Samuel Montella e Batistuta. La società si riallineò: perché i tifosi amano gli eroi, ma ancora di più i vincitori. Altri due anni, e arrivò lo scudetto. E allora il capitano ha maledettamente ragione. Perché è Sabatini a giurare che Zeman non è «lo scudo spaziale» dietro il quale nascondere una campagna acquisti con fichi e datteri. Non arriveranno top-player?
Ed eccoci qui con Thactsidis, che avrà pure impressionato il boemo, ma ha un nome da supposta di centrocampo. Bradley? Nel Chievo brillava, ma se non fosse americano sarebbe ancora sotto il balcone dei Capuleti. E poi abbiamo portato in ritiro, con un ritardo abissale sui tempi tecnici e medici, il giovane Dodò, una via di mezzo tra un uccello preistorico estinto e una preda del cocomeraro, con quel ginocchio atrocemente gonfio che si ritrova. E questa è la stessa dirigenza che l’anno scorso ci deliziò con i racconti preventivi sull’insuperabile Kjaer e sull’inafferrabile Josè Angel. La dirigenza ammaliata dal tiki-taka vacuo e orizzontale dell’asturiano, oggi allo stesso modo abbagliata dalle verticalizzazioni del boemo, una gioia quando attacchi, un calvario quando ti difendi. Sì, con il vecchio Zdenek ci divertiremo come pazzi: partite con punteggi tennistici, e non a caso Totti eleva odi a Federer. Ma il capitano è il primo a voler tutelare l’allenatore, oltre che se stesso. Zeman non merita di fare lo scudo spaziale, e neppure il filo di messa a terra di un impianto elettrico precario. Per vincere ci vogliono i campioni, e non è giusto mortificare un poeta comprandogli supposte o uccelli impagliati. I top-player costano, ma fanno la differenza. L’unico che abbiamo in casa, De Rossi, arriverà con le pile scariche, dopo quell’Europeo magnifico ma logorante. Urgono rinforzi veri e solidi: gli americani non ci rifilino patacche.