Arrigo Sacchi, è stato intervistato da una nota emittente romana. Ecco le sue parole: ”Viviamo in un Paese in cui più delle rivoluzioni si fanno le restaurazioni. La Spagna è diventata ciò che conosciamo perché al centro dei suoi progetti ha messo il gruppo, qui da noi il collettivo non si mette mai al centro dei progetti. Ero molto curioso di Luis Enrique la scorsa stagione. Non so se abbia commesso errori o se i suoi calciatori non fossero funzionali. L’importante è proseguire su una strada con convinzione. E’ in Italia non è facile. Bisogna tenere duro. Perché si può vincere come fece l’Inter, svenandosi economicamente, arricchendo la propria bacheca per successi figli soprattutto delle grandi individualità, successi che rimangono nella storia ma non come quelle vittorie figlie di un’organizzazione che resta nella testa delle persone per tanti anni. Anche il Chelsea quest’anno ha vinto, un grande trofeo. Ma non grazie al gioco di gruppo. Oggi è dura andare contro contro un sistema, serve grande personalità. Le caratteristiche del calcio italiano, la difesa arcigna, le ripartenze, non devono venire meno, ma bisogna evolversi, migliorarsi collettivamente. Se una squadra non fa gol non necessariamente bisogna comprare un altro attaccante per risolvere il problema. A proposito di Roma, feci il corso con Zeman. Per noi fu importantissimo il supercorso di Coverciano, che durava un anno, come un anno scolastico. Fu ideato da Allodi. Oggi probabilmente i nuovi allenatori in un mese fanno quello che noi facevamo in un anno, o più probabilmente c’è troppa fretta. Zeman diverte anche quando non vince, capace di dare un’identità alla propria squadra. Se vedi una partita e non sai chi c’è in panchina, vedi giocarla e riconosci se c’è Zdenek. Come quando si va a vedere una mostra e si riconosce un quadro di Picasso. Ecco, il paragone rende l’idea, è calzante. E Picasso non si offenderebbe. La Roma è sulla strada giusta. Ne parlavo stamattina con Franco Baldini, mio grande amico. Sbagliare non è un problema, importante è capire dove si sbaglia. La Roma può rappresentare il calcio del futuro. Di allenatori giovani ce ne sono, ma spesso più che squadre trovano torri di Babele. E’ come chiedere a un regista di film drammatici di girare un film che lui è capace di dirigere ma gli assegnano attori che con quel genere di pellicola non hanno nulla a che fare”.
Fonte: trs