(M. Izzi) – La cosa che ha fatto maggiormente piacere nell’apprendere le prime parole di James Pallotta, neo presidente della Roma, è avvertire in lui, la consapevolezza del fascino e della storia che c’è dietro una simile carica. Per capire cosa significa diventare presidente dellaRoma, basta riflettere un secondo sui personaggi che sono stati alla guida delle Società che hanno realizzato la fusione che le ha dato vita. Per l’Alba, basta ricordare Ulisse Igliori (poi amministratore delegato nella Roma del 1927), aiutante di campo e comandante della guardia personale di Gabriele D’Annunzio a Fiume, quadrumviro della Marcia su Roma e nonostante questo, capace di sfidare a duello Benito Mussolini. Se preferite la vita mondana, vi accontento subito con il Conte Luigi Millo, già alla guida del Roman Football Club e compagno di una certa Josephine Baker. Se poi dal profano e dal terreno, preferite tornare al sacro ecco a voi il Marchese Giovan Battista Sacchetti, mecenate della Fortitudo. Erede di una famiglia nobile fiorentina (di parte guelfa e ostile ai medici, che Dante cita nella Divina Commedia), tra le più prestigiose. Nel 1748, Papa Benedetto XIV acquistò dai Sacchetti una collezione di 187 dipinti che formarono il nucleo iniziale della Pinacoteca dei Musei Capitolini. Ebbene Giovan Battista Sacchetti, nominato nel luglio 1927 nella commissione finanza dell’AS Roma, era Foriere Maggiore dei Sacri Palazzi Apostolici, come dire la quarta carica della Corte Pontificia. Nel 1927, dunque, Alba-Audace, Fortitudo-Pro Roma e Roman Football Club, provenienti da queste storie, confluiscono in un’unica società: è scontato che la carica di presidente della Roma assuma da subito un valore morale, politico e sociale, che non teme contendenti. Per quello che riguarda i predecessori di James Pallotta, sarebbe sin troppo scontato iniziare da coloro che hanno vinto: Edgardo Bazzini, Dino Viola e FrancoSensi. Ci piace invece sottolineare che James Pallotta eredita la poltrona che fu di Igino Betti e di Francesco Marini Dettina. Il curriculum del primo è da brividi, pilota dell’aviazione italiana, durante la prima guerra mondiale fu istruttore militare conseguendo la promozione da Sottotenente a Capitano (tra i tanti, insegnò a volare anche a un certo Fiorello La Guardia, futuro sindaco di New York). Nella vita civile fece fortuna come costruttore, eternando il suo nome con atti di enorme generosità. Donò alla città di Monterotondo un ospedale e un fabbricato per gli invalidi, al Museo delle Terme 1351 pezzi archeologici, sino a fondare, nel 1971, anno della sua morte, una fondazione che gestisce il suo patrimonio continuando ancora oggi, annualmente, ad assegnare borse di studio per ragazzi meritevoli, perché: «Chi ha la fortuna di avere, deve avere l’orgoglio e il dovere di aiutare gli altri a migliorarsi e a migliorare la società». C’è poi, come detto, Francesco Marini Dettina. La bacheca della Roma lo ricorda per la conquista, nel 1964 della Coppa Italia. Rimane nell’immaginario dei tifosi e degli sportivi italiani per l’acquisto di Angelo Benedicto Sormani, Mister mezzo miliardo, ma il presidente Marini Dettina, da poco scomparso, è stato molto di più. La sua vita, almeno in piccola parte, l’ha raccontata in un film-documentario di Enzo Monteleone (già sceneggiatore del film premio Oscar “Mediterraneo”), intitolato “I ragazzi di El Alamein”. Proprio a El Alamein Marini Dettina aveva partecipato a una delle battaglie cruciali della seconda guerra mondiale: «Scortavo – ricordava – un Maggiore inglese, che giunto al nostro Caposaldo vide che eravamo in pochi ed esclamò rivolto ai suoi uomini: “Here are few men” (Qui ci sono pochi uomini). La frase mi mise molto in pensiero, lo guardai e gli spiegai in inglese: “Sì, siamo pochi, ma le faccio presente che tutte le armi sono puntate su di voi”. Questa e 100 altre imprese, gli valsero l’assegnazione della medaglia d’argento al valor militare. James Pallotta può andare fiero, poi, di aggiungere il suo nome a quello di Renato Sacerdoti e Anacleto Gianni. Si tratta di uomini che tra la fine degli anni venti e i primi anni 60, hanno cercato di costruire una Roma padrona del calcio italiano. Il primo non ci riuscì perché venne spedito al confino sulla scorta delle deliranti leggi razziali volute dal Fascismo, il secondo fu bloccato (non prima di aver conquistato la Coppa delle Fiere), da una volontà politica che aveva destinato la poltrona di presidente della Roma ad altre figure. Assieme ad Anacleto Gianni, lasciò la Roma il suo vice, Franco Sensi che avrebbe trionfalmente condotto il club allo scudetto nel 2001. Parlando di Sensi, non si può, neanche volendo, non pensare a Dino Viola. Non appena conquistato lo scudetto, in compagnia di Amos Cardarelli, Viola si recò proprio a visitare la tomba di Sacerdoti. Al pari di Sensi, aveva una consapevolezza e una conoscenza enorme della storia della Roma e un’ambizione adeguata a quanto meritano questa piazza e questi colori. Dopo aver conquistato il titolo nel 1983, Viola disse che lo scudetto: «era un giocattolo che si dava a un bambino per tenerlo buono e non farlo salire sulla giostra». La giostra era la Coppa Campioni, nel rispetto della sua ossessione, quella di guardare sempre un passo oltre. Ecco, a JamesPallotta auguro di guardare sempre un passo oltre: lo deve a se stesso, ai tifosi e agli uomini straordinari che lo hanno preceduto.