(T. Carmellini) – Un anno esatto: oggi. Il 18 agosto del 2011 la Roma diventava il primo grande club italiano nelle mani di un gruppo straniero: «gli americani». Presto per fare bilanci definitivi, ma tracciando una linea 12 mesi dopo, anche le più accanite prefiche della vecchia era, non possono negare l’evidenza. Già, perché pagato lo scotto di una prima stagione sportiva a dir poco altalenante (cosa tra l’altro ampiamente prevedibile), le prime mosse dei nuovi proprietari sono andate nella giusta direzione: riduzione fino ai limiti del possibile del debito (la Roma sarebbe fallita), investimento di nuovi capitali, ma soprattutto un vero e proprio processo di ristrutturazioneche porterà in breve il club ad avere le dimension e la forma di una società «vera». Poi lo stadio (ma stavolta niente progetti, presentazioni megagalattiche e parole: solo fatti), il merchandising, accordi commerciali «top» e una campagna acquisti ancora una volta di livello: acquisti mirati con abbattimento degli stipendi ma soprattutto dell’età media. Un tecnico all’avanguardia in grado di proporre calcio offensivo e divertente e conferma dei big corteggiati da mezza Europa:De Rossi su tutti.
Il centrocampista di Ostia non si vende, o almeno non alle cifre «umane» circolate finora (molte di fantasia perché l’unica offerta, per altro non ufficiale, arrivata dal City parlava di 12 milioni: 16 con bonus e quindi inaccettabile). E se la Roma non sembra averne fatto una questione di soldi (sul giocatore si è investito molto anche dal punto di vista mediatico), Mancini sembra invece averne fatto una questione di principio. L’ex laziale è scatenato, chiama chiunque possa aprirgli qualche spiraglio verso il romanista, nel tentativo di mettere il «suo» sceicco nella condizione, forzata, di accontentarlo: perché è ovvio che a 40 milioni la Roma sarebbe costretta, quantomeno, ad ascoltare l’offerta. De Rossi (al quale il club inglese garantirebbe un ingaggio da 7.5 milioni a stagione) gli ha già detto di non voler lasciare Roma e la cosa non sarebbe stata gradita dall’allenatore che lo avrebbe definito «un piccolo uomo». «Finirai come il tuo amico (Totti, ndr), senza vincere niente in carriera» sarebbe stato, secondo i bene informati, il verdetto. […]