(M. De Luca) – Il 4-0 in casa Juve aveva praticamente segnato il destino di Luis Enrique alla Roma. Il 4-1 di questo anticipo serale mette seriamente in crisi il rapporto fra Zeman e l’ambiente, e forse anche fra Zeman e la squadra. I primi 20′ in cui la Juve ha scherzato con Totti e compagni, archiviando la pratica con tre gol, hanno trasformato in disamore l’entusiasmo con cui il ritorno di Zeman era stato accolto dal popolo giallorosso. Contro la squadra più forte, solida e concreta del campionato la Roma in totale confusione ha evidenziato la verità più inquietante: di essere, cioè, zemaniana solo nei difetti. In pratica, è sbilanciata ed esposta a tutti i venti in difesa, come si sapeva (o temeva) fin dall’inizio della nuova-vecchia avventura; ma, contemporaneamente, è parsa molto poco zemaniana in attacco, là dove dovrebbe sopperire ai danni della sua forzata spregiudicatezza. Poca intensità, poca velocità, minimi movimenti senza palla. Facile capire che si tratti di una combinazione letale, come dimostrano ormai troppi risultati.
Dopo il pareggio un po’ grigio di Firenze, la Juve ha reagito con la rabbia delle grandi: e di certo non avrebbe potuto augurarsi avversaria migliore. Sia per la carica motivazionale che solo il bersaglio-Zeman può trasmettere; sia per l’ampia libertà di manovra concessa (specie per uno come Pirlo, soffocato spesso, di recente, dalle marcature avversarie). E comunque, se dopo sei giornate che continuano a prolungare il record d’imbattibilità, l’unico neo è rappresentato da un pareggio contro una bellissima Fiorentina, c’è poco da sottilizzare. La squadra porta avanti il cammino trionfale intrapreso con Conte: e, anzi, mentre pare anche migliore dell’anno scorso, tutte le altre (teoriche) concorrenti, tranne il Napoli, danno l’idea di aver fatto più d’un passo indietro.
Per Zeman il momento è critico: solo il derby, a Roma, è sentito più della sfida con la Juve e il 4-1, che avrebbe potuto anche essere più pesante, fra traverse e occasioni varie, è un boccone troppo amaro da mandar giù. Con le poche parole distillate nel dopo partita, il boemo non ha nascosto l’evidenza: questa Roma non è la sua Roma e, in mezzo al guado com’è, si ritrova puntualmente in balìa di se stessa e degli avversari, come s’è visto, ancor prima che con una grande Juve, anche con le più modeste Catania, Bologna, Sampdoria. Impossibile, stavolta, invocare gli alibi più gettonati, come le papere del portiere, o il calo fisico nella ripresa. Paradossalmente la squadra è andata meglio (o meno peggio) nella ripresa mentre al povero Stekelenburg poco si può imputare (a parte un’incertezza sulla punizione di Pirlo per l’1-0). La sensazione, allo Juventus Stadium, è stata quasi di un rigetto nei confronti dell’utopia zemaniana. E la feroce linearità della Juve ha, ovviamente, accentuato il contrasto con l’indefinitezza giallorossa.Brutta storia per il profeta del calcio-spettacolo. Bellissima, invece, la storia senza fine della Juve che conosce se stessa ma non conosce la sconfitta.
Fonte: Corriere.it