(L. Valdiserri) – Prendere o lasciare, nella seconda reincarnazione di Zdenek Zeman alla Roma, fino a ieri pomeriggio voleva dire una sola cosa: accettare le polemiche infinite con la Juve o le discussioni sugli errori arbitrali che, un anno fa, erano state bandite dalla nuova dirigenza e da Luis Enrique. Dal 27’ della ripresa di Roma-Bologna, invece, purtroppo per i tifosi giallorossi si è aggiunto anche un vecchio film: quello delle partite già vinte che finiscono invece con una sconfitta. Nulla è cambiato? Il risultato — da 2-0 dopo un quarto d’ora, con gol di Florenzi e Lamela, al 2-3 finale con doppietta di Gilardino e gol di Diamanti — direbbe di no.
L’analisi della gara, però, fa trovare qualche differenza. In passato le squadre di Zeman avevano spesso preso gol per un peccato di «eccesso»: la squadra attaccava anche quando era in vantaggio e prendeva i contropiedi avversari. Ieri i tre gol sono venuti a difesa schierata. Zeman è stato caustico: «Il primo in tre contro Gilardino, lasciando crossare un avversario indisturbato; il secondo perché non siamo stati aggressivi né sul pallone né con lo spazio; il terzo con un autoscontro (tra Stekelenburg e Burdisso; ndr)». Gli errori individuali sono stati chiari. Per chi scrive, però, è stato un grave errore anche il doppio cambio che, al 24’ della ripresa, ha spento la luce: Nico Lopez per Lamela e Marquinho per Pjanic.
I nuovi non sono assolutamente entrati in partita e soprattutto Marquinho è stato deleterio: Zeman lo ha schierato a sinistra, spostando Florenzi a destra, e su quella fascia il Bologna ha costruito le azioni di tutti e tre i gol. Pioli, al settimo cielo per i primi tre punti in classifica, ha spiegato molto bene: «La Roma è stata fenomenale per 20’,ma noi non ci siamo arresi. Sapevo che Totti non avrebbe seguito il nostro terzino sinistro e così, nella ripresa, abbiamo cercato di sfondare da quella parte». La condizione ancora imperfetta di Balzaretti e la distrazione tattica di Marquinho hanno fatto il resto. La Roma non ha ancora una sua dimensione. In tre partite ha già esaurito i risultati possibili: pareggio con il Catania, vittoria con l’Inter, sconfitta con il Bologna. È ancora un cantiere aperto e ieri sono sicuramente mancati Osvaldo e De Rossi, cioè due uomini di grande carattere.
Una squadra un po’ più esperta non avrebbe mai concesso al Bologna, dopo il 2-1 di Gilardino, di ripresentarsi in attacco dopo pochi secondi e di «schiacciare» per puro timore tutta la linea di difesa e controcampo a venti metri dalla propria porta. È questo che ha portato Zeman a dire a fine gara che la Roma «è una squadra giovane. A parte Totti sono tutti di 20 anni e poco più a centrocampo e attacco. Si devono abituare, devono avere esperienza. Non sono abituati ancora a vincere»? Se così fosse sarebbe grave, perché a Roma il tempo per crescere con tranquillità è sempre poco. Zeman ha portato un entusiasmo eccezionale (anche ieri 50mila spettatori), ma un punto in due partite casalinghe (e 5 gol subiti) non sono numeri coerenti con una rosa di qualità, ricca e costosa. Spiace chiudere con un commento molto negativo sull’arbitraggio di Guida: doveva espellere Perez nel primo tempo (la Roma era sul 2-0) e Totti nel finale (cerca di colpire con un pugno Taider, l’arbitro lo ammonisce). Nel primo caso la Roma avrebbe vinto al 99,9% e nel secondo non avrebbe avuto il suo capitano e miglior giocatore per almeno due partite.