(G. Dotto) – Non ho ancora capito, e a questo punto non lo capirò mai, se le cosiddette montagne russe mi deprimono o mi eccitano. Lì per lì le odio, mi svuotano, vorrei mettere una dose di cicuta nella tazza di chi le ha inventate e spiarlo, il sadicone, mentre rantola. Poi, due giorni dopo, smanio dalla voglia di riprovarle. Ne sento la mancanza. Che siano giostre o azzardi.
Ieri, alla fine di Roma-Bologna, ero un cencio da buttare. Un attonito cretino, incapace di colmare la distanza tra sè e il telecomando. Voglia di spegnere tutto, non solo la televisione, ma tutto quanto mi stava attorno, amici e parenti inclusi. Il mio era l’umore di uno che aveva iniziato il pranzo con Monica Bellucci e si era ritrovato alla frutta con Cecchi Paone. Colpevole di un’assurda euforia da miraggio prolungato. Totti e Lamela mi avevano spedito in paradiso. Mezz’ora dopo, Piris, o chi per lui, questa immonda roba chiamata calcio, mi avevano steso.
Non ho ancora capito chi sia davvero Zeman. Non lo ha capito nessuno. Ho capito solo che lui è come la vita, non lo saprai fino in fondo se è un paradiso o un incubo. Due ipotesi solo apparentemente così lontane. Oggi propendo per la seconda. Ma, non toccatemi il Boemo.