(R. Boccardelli) – «Daniè, c’hai n’età, lassa sta, nun ce castigà». Questo curioso frammento letterario fu rinvenuto nel primo decennio degli Anni Duemila in una lavanderia del Quadraro. Era nella tasca dei jeans di un abbonato di Curva Sud. Nella centrifuga il grosso dello scritto è andato perso, ed è giunto fino a noi solo questo reperto. Analizzato dagli studiosi archeo-calcistici dell’Università Tor Vergata 16, è stato infine catalogato come un frammento della preghiera che molti adepti giallorossi recitavano nelle ricorrenze in cui la Roma si accingeva ad affrontare il Cagliari, nel quale militava proprio il Daniele del papiro. Daniele di nome, Conti di cognome, discendente diretto di un antico eroe neptunense che molto fece per le fortune di Roma negli ultmi anni del millenovecento.
Sembra che il Daniele Conti, in principio allevato e forgiato nelle milizie giallorosse, nelle quali esordì proprio sotto le insegne del grande condottiero Zdenek, fosse costretto all’esilio perpetuo nell’isola denominata Sardegna, insegne rossoblù del Cagliari. (…)
Così, gonfiando spesso la rete giallorossa e finendo altrettanto spesso per azzuffarsi in campo con gli avversari portatori di cotanta maglia, Daniele Conti, che tutto amava della stirpe romanista, cominciò invece ad essere indicato dai fan capitolini come una sorta di traditore. Frutto del rosicamento dovuto alle imprese del Conti stesso che, quando vedeva giallorosso, partiva lancia in resta. Forse perchè il rosicamento era più suo che dei romanisti, forse perchè fu lui ad essere tradito e non viceversa.
In illo tempore la quaestio-Conti si ripresentava puntuale un paio di volte l’anno. Poi con l’abbandono delle scene belliche di Daniele, quella storia avvolta nella leggenda cominciò a perdersi nell’oblìo, salvo tornare improvvisamente alla ribalta con il ritrovamento delle poche righe di cui sopra, come se fosse oggi, anzi, dopodomani. «Daniè nun ce castigà…»