(C. Laudisa) – «L’imputato» Massimo Cellino si difende. E per avere le mani più libere si dimette dopo 21 anni da presidente del Cagliari: «Ci ho pensato su ed è la cosa migliore da fare al momento. Venerdì conto di tornare in Italia e di incontrare il mio legale Mattia Grassani per valutare le mosse migliori. Ma questa brutta storia intanto mi obbliga a un passo così doloroso per me».
Quel comunicato suonava da atto di ribellione, era proprio necessario?
«Non voglio accampare scuse, ma c’è stata tanta confusione in quelle ore. E ha inciso anche la differenza di fuso orario, visto che a Miami ero informato in ritardo. Comunque io non volevo disattendere all’ordine prefettizio».
Ma a tutti è parso il contrario…
«Il mio invito a seguire Cagliari-Roma era rivolto ai soli abbonati, per il 70% donne e ragazzi».
Gli ultrà, però, erano in fibrillazione.
«Questo lo sapevano benissimo anche all’Osservatorio del Viminale. Per questo s’è cercato sino alla fine di far disputare la partita per motivi di ordine pubblico. E anche per questo motivo non mi sembrava logica la soluzione delle porte chiuse».
Ormai il danno è fatto. Pentito?
«A mente fredda con quel comunicato ho commesso una leggerezza. Contrariamente a quanto si può pensare io le leggi le rispetto. Anche quelle del calcio. Per questa ragione sono pronto a difendermi in prima persona e a far valere i miei diritti. Di sicuro mi batterò perché le mie eventuali colpe non ricadano sul Cagliari e sui suoi tifosi che in questa storia del nuovo stadio stanno pagando da mesi».
Il presidente della Figc, Abete, e quello della Lega, Beretta, invocano la linea dura nei suoi confronti.
«Nessuno dei due mi ha chiamato in questi giorni per sentire la mia campana. Invece in pubblico hanno immediatamente espresso il loro sdegno, invocando duri provvedimenti. Non entro nel merito dell’autonomia della giustizia, mi limito a constatare che dev’esserci un fatto personale tra me e loro. Altrimenti non si spiegherebbe l’atteggiamento di entrambi».
Lei invece ce l’ha con la Roma.
«Peccato. Con la società giallorossa i rapporti sono sempre stati ottimi. In futuro temo di no. Comunque auguro a Baldini di vincere altre 10 partite in questa maniera: così può puntare allo scudetto…».
Anche l’Uefa è scandalizzata per il caso Is Arenas.
«Secondo le norme europee nessuno stadio italiano otterrebbe l’agibilità. La mia sorpresa è che solo Cagliari meriti tante attenzioni».
Perché non siete tornati a giocare a Trieste?
«Se mi fosse stato chiesto di tornare al Rocco, mi sarei adeguato. Ma la Triestina ha deciso di giocare in casa in contemporanea con il Cagliari. Evidentemente loro non ci vogliono».
Resta un mistero: perché ha abbandonato il Sant’Elia? Non si poteva restare a Cagliari?
«È stato il mio obiettivo principale per mesi. I miei tecnici hanno provato invano a cercare un’intesa con il Comune, ma le vedute erano troppo diverse. Il sindaco nell’area del Sant’Elia voleva una struttura come il San Paolo: impossibile! Così il Cagliari è stato costretto ad emigrare. E devo dire grazie al primo cittadino di Quartu se ora abbiamo un futuro. Ma quanto ci stanno facendo penare».