(M. Iaria) – In questa commedia dell’assurdo indegna di uno spettacolo, quello della Serie A, che attrae 10 milioni di persone e muove 1,6 miliardi di euro, cominciava a intravedersi una via d’uscita.
L’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive aveva inserito all’ordine del giorno della riunione di mercoledì un punto sul caso-Cagliari, e in particolare sulla possibile apertura agli abbonati di uno o più settori, quelli già in linea con le norme sulla sicurezza: porte parzialmente aperte, quindi, per la partita di domenica prossima col Pescara. Visto il perdurante muro d’incomunicabilità tra Cellino e le autorità locali, la Lega («incomprensibile e ingiustificabile la nota del club») si era attivata col Viminale, esercitando finalmente quel ruolo politico di cui si sente troppo spesso la mancanza. Il rischio, tuttavia, è che il Cagliari, col comunicato-choc di ieri, abbia rovinato tutto. Resta il danno d’immagine per tutto il movimento calcistico, e quel senso di disorientamento tra i tifosi, causato dall’incertezza sulla sede di gioco e le modalità di accesso, che si è protratta per troppe settimane. Qui la Lega ha sbagliato: avrebbe dovuto imporre Trieste (la sede designata dalla società sarda al momento dell’iscrizione al campionato, ma perché così lontano?) finché i lavori a Is Arenas non fossero stati completati. «Volevamo favorire il ritorno a casa del Cagliari con un’apertura graduale dell’impianto», la giustificazione di via Rosellini. Intento nobile, ma ne è venuto fuori un pasticcio.