(M. Cecchini) – Proprio vero, la rivoluzione non russa. Ma se il dna statunitense rende la proprietà geneticamente allergica ad una parola che ha il sapore del socialismo, non c’è dubbio che la Roma abbia impresso una svolta netta non solo nei confronti dell’era Sensi, ma anche rispetto alla scorsa stagione.
Gioco & Mercato Basti pensare alla scelta dell’allenatore. Si è passati da Luis Enrique, che preferiva un gioco orizzontale a costo di dar vita ad un possesso palla estenuante, agli schemi di Zeman, che prevedono massimo due-tre tocchi prima della immediata verticalizzazione.Insomma, nessuna continuità rispetto al passato recente, tant’è che a dimostrarlo è arrivato un mercato vigoroso. Dopo appena una stagione sono andati via Kjaer, Heinze, Josè Angel, Gago, Borini e Bojan, senza contare gli ereditati Curci, Cicinho, Cassetti, Pizarro, Juan, Rosi, Greco, Simplicio, Okaka e Borriello, oltre ai baby Viviani, Piscitella, Verre e Caprari. Segnalato come siano rimasti solo 11 giocatori del periodo di Luis Enrique,a Trigoria sono arrivati altrettanti acquisti (Goicoechea, Castan, Marquinhos, Dodò, Piris, Balzaretti, Lucca, Bradley, Tachtsidis, Florenzi e Destro, oltre al portiere della Primavera, Svedskauskas) che hanno avuto un immediato effetto collaterale: l’internazionalizzazione massiccia della rosa.
Estero & Moda Nel giro di 2-3 anni, infatti, la suggestione di una Roma con venature autoctone in stile Athletic Bilbao (presidenza e dirigenza capitoline, una prima squadra con radici cittadine grazie ai vari Totti, De Rossi, Aquilani, Galloppa, Greco, Curci, Rosi etc.) è stata sostituita dalla rosa più «straniera» della storia giallorossa, con 13 nazioni rappresentate (Italia, Brasile, Uruguay, Argentina, Stati Uniti, Romania, Francia, Paraguay, Bosnia, Olanda, Lituania, Grecia e Costa d’Avorio). D’altronde, nessuna meraviglia. La Roma in stile Usa punta molto sulla internazionalizzazione. Non a caso ieri si è saputo che anche la creazione delle divise ufficiali (fino al 2016) sarà affidata all’estero, visto che saranno firmate dalla maison svizzera Philipp Klein. Perciò, liquidata con una punta di malinconia la sterile polemica tra l’a.d. Pannes («abbiamo acquistato una società insolvente») e l’ex presidente Rosella Sensi («non era bancarotta, spero che cessi questo atteggiamento denigratorio»), resta invece il dato oggettivo di una rivoluzione che ha toccato anche la presidenza, visto che al primo «front man» Tom DiBenedetto è subentrato il ben più solido James Pallotta, che ha subito dichiarato la sua intenzione di «portare la Roma ai vertici».
Largo ai giovani Ma non basta. Analizzando i giocatori a disposizione di Zeman si vede che l’età media della rosa è di 24,4 anni, cioè assai meno non solo rispetto ai 30,9 anni dell’ultima giornata di campionato dell’era Sensi, ma anche ai 27,7 della prima gara di Serie A della gestione di Luis Enrique. Insomma, se a tutto ciò aggiungiamo la nuova hospitality dell’Olimpico e l’intenzione della dirigenza di tagliare il più possibile i biglietti omaggio a politici, vip o presunti tali, sembra quasi un peccato segnalare come la (eccellente) iniziativa di non commentare mai le decisioni arbitrali sia invece ormai andata in archivio. Ma nella sfida a questo zarismo cultural-calcistico italiano, d’altronde, qualsiasi Lenin ne uscirebbe sconfitto.