(E. Menghi) – Il bicchiere non è poi così pieno come l’ha descritto nella conferenza stampa post-partita: il boemo, infatti, ha fatto notare ai giallorossi che l’impegno mostrato da tutti in allenamento è apprezzabile ma non basta, perché ancora non si vede quella profondità tipica di «Zemanlandia». È la sua prima pretesa. Il paradiso del gioco d’attacco è la base del suo pensiero: «Tutto dipende dalla filosofia che uno abbraccia. Le mie squadre – confida Zeman alla testata tedesca Kicker – si trovano abbastanza bene. Ogni giocatore ama molto più costruire che distruggere. Per me il risultato di una partita potrebbe anche essere casuale, la prestazione no. Il risultato non è l’indicatore di un buon lavoro svolto.[…]».
È il solito Zeman senza peli sulla lingua: «Il calcio è considerato business e politica e meno come sport. Il business funziona con regole differenti. Il calcio si basa oggigiorno su di una mentalità “usa e getta“ che grava su allenatori e giocatori. È normale che le persone si sono allontanate, sono successe delle brutte cose. Il problema è che gli episodi accaduti all’interno dei club e delle istituzioni hanno portato ad un’escalation di violenza, non capisco». Se il gioco perfetto per lui non esiste, perché «ci saranno sempre degli errori, altrimenti una squadra dovrebbe segnare 200 reti avendo attaccato 200 volte», per Zeman esiste un giocatore molto vicino alla perfezione: «Penso spesso a Messi, ma non sono sicuro che sia allenabile perché è troppo bravo».