(C. Bonini) – Una risata (amara) seppellisce nel grottesco la “banda degli onesti” che in marzo lavorò alla madre di tutte le sòle (ne girano sempre copiose in una città dove i gonzi non mancano) sul conto dell’As Roma e dei due dirigenti espressione della nuova proprietà americana, il direttore generale Franco Baldini, il consigliere di amministrazione Mauro Baldissoni. Vittime di una diffamazione — Repubblica ne diede conto per prima — che li avrebbe dovuti accreditare come turpi massoni, affaccendati in misteriose “logge” e in sinistri “triplici fraterni abbracci”. Il pm Paola Filippi, con una prosa essenziale che a tratti sembra dissimulare una stupefatta ironia, conclude, a chiusura di 6 mesi di indagini della Digos, che la variopinta combriccola che concepì il bidone non debba andare a processo. Per manifesta cialtroneria.
Perché il processo penale prevede che debba andare a giudizio chi di un reato è indiziato di averlo commesso o quanto meno tentato. Mentre, in questo caso, gli indagati neppure questo sono riusciti a fare. Responsabili di una stangata impossibile hanno provato a rifilare al quotidiano “il Fatto”, prima, e quindi a Paolo Calabresi delle “Iene” (che la storia avrebbe poi smascherato, documentandola con riprese clandestine), uno scartafaccio di intercettazioni farlocche che avrebbero dovuto accreditare un Baldini e un Baldissoni con il “cappuccio” e il “grembiulino” da caso Scarfoglia. Ma che neanche un bambino si sarebbe bevuto. Una tale «ridicola monnezza» (le parole sono del pm) che né la diffamazione, né la ricettazione hanno trovato tempo o modo, di trovare uno sbocco che li rendesse tali. “Reati impossibili”, insomma.
Per oggettiva dabbenaggine degli indagati e delle loro mosse. Già. Una richiesta di archiviazione può essere persino peggiore di una condanna, se si ha un briciolo di dignità e amor proprio. E persino metafora di un pezzo di questa città. Di uno dei suoi modi d’essere. Le quattro pagine della richiesta di archiviazione (consultabili integralmente sul nostro sito) ne sono un paradigma. Il pm ci ripropone le mosse alla carlona, in un fare circospetto da “birra e salsicce” (per chi ama Totò), di Mario Corsi, “Marione”, l’ex Nar che da anni si è fatto predicatore e mazziere radiofonico dall’autarchica e dorata tribuna di “Centro Suono Sport”, del suo giovane spicciafaccende di redazione Giuseppe Lomonaco, di Roberto Renga, giornalista in pensione, di suo figlio Francesco. Nel marzo di quest’anno ruminano una di quelle polpette avvelenate che spacciano come oro nel circuito off-off dei perdigiorno che fanno flanella intorno alle radio del tifo.
Maneggiano cartaccia scritta a mano libera che — dicono — è la trascrizione di sms intercettati dalla polizia e scambiati tra Baldini e Baldissoni. «Un falso grossolano». Perché non esistono né le intercettazioni, né gli sms. L’idea è vecchia come il cucco. Rifilare a qualche “giornale” o tv che conta quella robaccia. Aspettare che faccia capolino in edicola o “on air” e poi saltarci sopra, rilanciandola. Convinti che il vecchio mantra paghi sempre. Perché in fondo non importa se una notizia è vera o falsa. L’importante è che qualcuno ci creda. Purtroppo per loro, in quei giorni “carbonari” di marzo, ai quattro dice picche “il Fatto”. Non Paolo Calabresi delle “Iene” che finge di abboccare alla sòla, dà corda ai congiurati alla amatriciana e finisce per smascherarli, riprendendone clandestinamente le goffe fumisterie con cui prima cercano di piazzare la merce e poi, consapevoli di essere stati scoperti, provano a minimizzare.
Fino a implorare la “Iena” di non rovinarli («Corsi chiese a Calabresi di non divulgare quanto aveva scoperto per non rovinare la carriera di Lomonaco»). Raccontano che, da un paio di giorni, “Marione” faccia la ruota in radio, agitando la notizia della sua richiesta di archiviazione (di cui si è guardato bene di dare conto del contenuto), come la sua riabilitazione. In qualche modo, la prova postuma che ha visto giusto il sindaco Alemanno a gratificarlo, in maggio, del premio “microfono d’oro” per il ruolo “sociale” della sua trasmissione “Te la do io Tokyo”. Aggiunge qualche suo ascoltatore che si sia fatto anche minaccioso, avvertendo che «ora ci si divertirà». E per una volta, forse, ha ragione.
Le quattro pagine della richiesta di archiviazione sono divertenti. Soprattutto confermano dalla prima all’ultima le notizie che “Repubblica” diede in marzo. In un comunicato di quei giorni, al pari di Roberto Renga, Corsi e Lomonaco definirono la storia che li riguardava «un’insinuazione priva di fondamento» per la quale avrebbero «agito nelle opportune sedi». Il pm e la Digos, ora, documentano il contrario. Ma, appunto, non importa se una cosa è vera. L’importante è che qualcuno ci creda. Ieri, come oggi. Per la cronaca, un gip ora dirà se la richiesta di archiviazione del pm può essere accolta o meno. Se davvero si è trattato di un reato impossibile. La As Roma — per quanto si è appreso — si opporrà alla decisione del pm chiedendo il giudizio.
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