(F. Maccheroni) – Se non c’entra, ci si mette. Di traverso e con un pizzico d’arroganza. Claudio Lotito, nei panni dei dirigenti romanisti, non avrebbe chiesto lo 0-3. Dice che gli piace vincere sul campo. In realtà combatte per se stesso. È convinto che Roma-città-potere sia con la Roma e che non gli sia riconosciuto quanto ha fatto per la Lazio.Così non perde occasione per attaccare la Roma. E gli fa gola anche l’idea di affrontare una battaglia che, strizzando l’occhio ai tifosi, gli potrebbe far rimbalzare un sostegno che non ha mai avuto completamente.
Così dalle follie cagliaritane nasce un clima-derby che le vicende del campionato mantenevano ancora a distanza. La Roma è presa dai problemi di chi cerca pepite fra tanti sassi (considerando le assenze, benedetto sia Cellino). La Lazio ha in testa il miracolo-Petko e il ko col Genoa: le trombe diventano squilli d’allarme. A rompere questo stallo, è arrivato Cellino con una iniziativa che, come dice Zeman, si può vivere soltanto in Italia. Lotito non aspettava altro. Baldini (altro incompreso) filosofeggia, si dice stanco, racconta di aver visto tutto e troppo. Vero in parte. Gli manca di vedere la Roma che ha promesso.