(G. D’Ubaldo) – Gli anni passano, ma Roberto Baggio resta uguale. Non ha più il codino, ha qualche capello bianco in più, ma gli occhi sono gli stessi. Il fisico, avvolto in un impermeabile scuro per ripararsi dalla pioggia, pure. Anche l’affetto dei tifosi è rimasto intatto. Qui è in mezzo alla sua gente, nella Marca trevigiana, tra le ville del Palladio e gli affreschi del Giorgione, nel cuore del Nord Est, un tempo ricco e opulento. La crisi è arrivata anche qui, tra fabbriche chiuse e saldi che cominciano a inizio stagione.
Roberto Baggio ha dato il calcio d’inizio di una partita per beneficenza organizzata da Diego Danieli, il vecchio proprietario della Diadora, l’azienda veneta per la quale Baggio è stato testimonial per trent’anni. Insieme a lui Chantal Borgonovo, la moglie di Stefano, un tempo compagno di squadra di Roby in una grande Fiorentina e che oggi combatte una orgogliosa battaglia contro quell’infame malattia chiamata Sla.
Roberto Baggio non ha mai amato finire sotto i riflettori. Neppure ora, che ha smesso di giocare da otto anni. «E non ho più calciato una punizione neppure nel giardino di casa…» . Eppure il calcio gli manca. Il campo, l’adrenalina, l’ansia che ti consuma nelle ore interminabili delle vigilie. «Ho smesso senza avere un’idea precisa su un futuro da allenatore. Però non si sa mai, il calcio è sempre nei miei pensieri, ho sempre vissuto per giocare».
Cosa si deve fare per cambiare il calcio?
«Bisogna ripartire dai giovani, dovremo prestare più attenzione verso di loro. Da presidente del settore tecnico della Federazione ho fatto un progetto con i miei collaboratori che hanno lavorato gratis. E’ al vaglio della Federazione, ancora non c’è stata una risposta, ma intendo andare avanti. Spero che venga approvato presto. Il principio fondamentale è la formazione dei formatori. I giovani hanno bisogno di persone che abbiano una adeguata preparazione. Io ho avuto tanti infortuni gravi nella mia carriera, il primo a 18 anni e sono rimasto fermo per due stagioni. Questo perchè non ero allenato nella maniera giusta».
Intravede una strada per ripartire?
«Visti i risultati della Nazionale non siamo poi così indietro. Tante squadre stanno lavorando sui giovani. Anche oggi un giocatore come me riuscirebbe ad emergere. L’importante è avere carattere, voglia e passione».
Però le nostre squadre in Europa non contano…
«Il campionato italiano è difficile. Anche gli stranieri quando arrivano fanno fatica. C’è tanto agonismo e una grande attenzione tattica. I risultati condizionano tutto e giocare tre volte a settimana logora».
Ma ci sono squadre che secondo lei giocano bene oggi in Italia?
«Si, a me piacciono la Juve, il Napoli, la Fiorentina. Anche l’Inter. E poi mi piace molto anche come gioca la Nazionale. Prandelli ha cambiato molto e sta costruendo una precisa identità. Se non avesse qualità l’Italia non sarebbe arrivata seconda all’Europeo».
L’Inter con Stramaccioni è cresciuta negli ultimi tempi?
«Sì e non è una sorpresa. Può inserirsi nella lotta scudetto, che non riguarda solo Juve e Napoli. Semmai è una sorpresa che il Milan sia finito così in basso. Comunque è un campionato molto incerto e appassionante. La Juve è sicuramente la più forte, la classifica rispecchia i reali valori visti in campo. Ma il campionato è lungo e le partite di Champions sono un’incognita». (…)
Negli ultimi giorni divampa la polemica tra Juve e Fiorentina, due sue ex squadre. Lei da che parte sta?
«No, non mi piace schierarmi. E poi ho seguito poco».
Chi è oggi il miglior numero dieci in Italia?
«Non è facile indicarne uno in particolare. Se penso ai giovani ne vedo tanti interessanti. Fare un nome sarebbe fare un torto agli altri».
Le bandiere nel calcio rischiano di scomparire. Del Piero se ne è andato in Australia.
«Non conosco la situazione che si è creata per Del Piero. Se la sua è stata una scelta di vita e va rispettata».
Tra gli italiani è rimasto Totti.
«Può battere ancora tanti record. Fa bene a continuare a giocare fino a quando ha la forza nelle gambe e l’entusiasmo».
Anche se sono passati otto anni da quando ha smesso la gente le vuole ancora molto bene. Perchè secondo lei?
«La gente ama i campioni, i giocatori di qualità. Ma non conta solo questo. Vuol dire che ho seminato bene. L’affetto che sento quotidianamente mi rende felice».
Lei ha giocato in tante squadre italiane, in quasi tutte quelle di vertice. C’è n’è una alla quale è rimasto più legato?
«No, ho avuto buoni rapporti in tutte le squadre nelle quali ho giocato. Ammiro chi gioca bene e mi informo sempre sui risultati di ogni partita».
Nel nostro calcio malato ci sono stati anche gli insulti al povero Morosini.
«Sono cose che fanno male, episodi intollerabili. La gente avrebbe bisogno di altri esempi. Si tratta di errori inaccettabili della società in cui viviamo».