(G. Piacentini) – Né un chiarimento né, tantomeno, un vertice. Quello tra Franco Baldini, Walter Sabatini e Zdenek Zeman nel solito ristorante dell’Eur – diventato ormai un quartier generale per i dirigenti romanisti – è stato semplicemente un pranzo di lavoro. Chi li ha visti ha riferito che tutti erano assolutamente sereni e rilassati: nessuna situazione in sospeso, anche perché la società non rimprovera nulla al tecnico per le questioni extra-campo ma solo, eventualmente, per quello che la squadra fa dentro al campo. Niente da dire sulla gestione del «caso» De Rossi (e Osvaldo) perché la linea tenuta dal tecnico è stata sposata in pieno dalla società, che subito dopo la sconfitta di Torino con la Juventus ha dato carta bianca all’allenatore. Anzi, sono stati proprio i dirigenti a rassicurare Zeman garantendogli piena autonomia nelle scelte, anche di fronte a nomi «pesanti» come quello di De Rossi e Osvaldo, e a supportarlo di fronte a decisioni impopolari agli occhi dello spogliatoio e della piazza.
«Zeman gode di fiducia illimitata », la sentenza di Franco Baldini nella conferenza stampa in cui il direttore generale aveva individuato nell’ambiente romano la causa delle mancate vittorie della società giallorossa. Concetto che era stato ribadito nel chiuso dello spogliatoio alla squadra: «Chi non se la sente, può farsi da parte», avevano tuonato i dirigenti. Dunque nessuna presa di posizione da parte della società in difesa del calciatore: la linea, ormai fin troppo evidente, è quella di dare pieno supportare il tecnico. Il «voto del silenzio», però, non coinvolge Daniele De Rossi, che per il momento ha scelto di non parlare ma non è detto che nei prossimi giorni dal ritiro della Nazionale non faccia sentire la sua voce. Anche perché la frattura c’è, ed è di quelle che difficilmente si ricompongono senza lasciare tracce. La situazione che si è creata è talmente anomala – De Rossi è un giocatore simbolo della squadra, uno che è sempre stato portato ad esempio di abnegazione e serietà professionale per gli altri, e che ora viene addirittura etichettato dal suo allenatore come un «lavativo» – che potrebbe avere risvolti inaspettati.
Nel breve periodo per il bene della Roma si arriverà ad un armistizio, ma non è detto che già a gennaio non si possa tornare a parlare di una clamorosa cessione che, dopo il rifiuto di Daniele all’offerta del City la scorsa estate, deciso a chiudere nella sua città la carriera, sembrava un argomento da poter consegnare ai libri di storia giallorossa. Non è più un mistero per nessuno che la società avrebbe ceduto volentieri De Rossi al Manchester di Mancini: il giocatore ha un contratto di 10 milioni lordi fino al 2017, che aggiunti al costo del cartellino farebbero «risparmiare» circa 70 milioni di euro. Considerando che l’ultimo bilancio è stato chiuso con circa 58 milioni di passivo, non bisogna essere deimatematici per capire che un’operazione del genere darebbe una bella sistemata ai conti societari. Poi, certo, bisognerebbe tenere a freno il malumore della piazza. Ma i casi di Ibrahimovic e Thiago Silva insegnano che a certe offerte nessuno più dice di no. E l’eccezione non sarà sicuramente la Roma.