(A. Maglie) – Il calcio è un gioco di specchi: nel giro di pochi giorni i reprobi diventano eroi; De Rossi e Osvaldo che non “remavano” con la Roma, remano con profitto per la Nazionale, spiazzando i “partiti” che erano nati dopo la loro esclusione dalla squadra anti-Atalanta; le ragioni di Zeman smentite da quelle di Prandelli. Il fatto è che in certi casi più che per qualcuno bisognerebbe parteggiare per qualcosa, possibilmente per la ragione e il buon senso. Zeman avrà avuto le sue buoni ragioni ma i fatti dimostrano che quelli che lui non ha ritenuto idonei (e non arruolabili), in un’altra condizione e in un’altra situazione non solo sono stati arruolati ma si sono rivelati decisivi. (…)
Se Osvaldo e Daniele De Rossi hanno la “qualità” per essere protagonisti in azzurro, perché mai non possono averla in giallorosso? Alla luce di quanto avvenuto in Armenia, risulta oggettivamente complicato pensare che la Roma possa prescindere da due giocatori che, per quanto svogliati o vogliosi, appaiono comunque professionalmente attrezzati per garantire alla Roma quel salto di qualità che tutti i suoi tifosi si augurano. Anche nel confronto con altri compagni di squadra.
Zeman non li ha ritenuti “idonei” avendoli visti, negli allenamenti, distratti, poco interessati alle “magnifiche sorti e progressive” della squadra giallorossa. Se lo dice sarà vero. Come sarà anche vero il fatto che gli allievi non sono riusciti ancora a metabolizzare i complicati insegnamenti del “maestro boemo”, ma i maestri sono tali se non si limitano solo a insegnare ma cercano di capire: cosa gli allievi possono dare e a quali condizioni. Il premio Nobel per la medicina è stato assegnato a uno scienziato, John Gurdon, considerato dai suoi professori uno destinato a non fare granché nella vita. L’allievo, a quasi 80 anni, ha smentito i maestri. Zeman dice che non ha alcuna intenzione di definire le sue scelte in virtù di gerarchie pregresse, non riconosce rendite di posizione. Discorso giustissimo ma qualcosa non torna se poi i due messi all’indice dimostrano con altra maglia di non essere intenzionati a vivere di rendita. E soprattutto di poter essere utili a qualsiasi causa.
Nessuno nega che il football nella “versione” zemaniana possa regalare straordinarie emozioni ma le sue intuizioni hanno finito spesso per perdere di efficacia nel momento in cui sono state trasformate in dogma. Il calcio nelle sue logiche a Roma o Milano o Torino non è diverso da quello di Pescara, Foggia o Licata; diverse, però, sono le condizioni. Non si può solo pretendere che gli altri capiscano, bisogna pure farsi capire. E anche i maestri di John Gurdon avevano evidentemente qualche problema a farsi capire. La storia, spietata, li ha dimenticati, mentre l’allievo ha vinto il Nobel.