(G. Dotto) – Vivere pericolosamente. Romanisti e zemaniani di questi tempi, sono cose che devi aver l’anima di Indiana Jones combinata a quella di Felix Baumgartner, ovvero il piacere suicida di salire nella stratosfera e dimenticare il paracadute a casa, che tanto la vita è una sola. Quindici minuti e vorresti spedire il boemo in un igloo dell’Alaska ad allenare gli eschimesi. Gli viene in soccorso il vecchio amico con la sua placca d’acciaio tenuta insieme da undici viti. Sotto di due gol la Roma di Enrique sarebbe diventata pappa. E invece Francesco Totti ha un allenatore da proteggere, Osvaldo ha una mamma da festeggiare e Lamela un diretore sportivo da salvare. Walter Sabatini ha un futuro.
Partita da guardoni. Marassi è un giantesco buco della serratura per chi ha fede romanista. C’è libidine da calcio ma anche da gossip. De Rossi, uomo diviso, giocherà per la Roma che è in lui e per il boemo che avverte contro di lui? Sbaglia i due primi passaggi, sembra un’anima in pena, ma Daniele è un uomo di qualità superiore. Non gli si gonfia più la vena cinematografica, ma un’altra, più importante, che sta dentro tra testa e torace. In un western dell’Ave Maria, tre facce da gringos come Zeman, De Rossi e Osvaldo, sarebbero amici e pistoleri sullo stesso fronte. L’auspicio è che Genova sia il confine, l’intervallo tra un primo tempo da incubo e un secondo da far felici anche i passeri. Per amore della Roma.
Ieri sera pazza e affamata. Temi sparsi, ex a iosa di là, inclusa la stranezza per non dire sconcezza di un kiler messo nelle condizioni di “uccidere” chi gli paga metà del suo stipendio. Borriello vorrebbe uscire con lo scalpo della Roma, esce invece con una gamba tumefatta. Kucka, immancabile gol della vita, e Jankovic sembrano aprire il baratro d’una fragilità irreversibile e invece no. Zeman, tornato dall’Alkaska, ride dentro. Vuoi vedere, demonio, che ha ragione su De Rossi? Ah, dimenticavo, ufficiale, definitivo: Castan è un giocatore meraviglioso.