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GAZZETTA DELLO SPORT La Roma scopre il fascino straniero

Pallotta e Totti

(M. Cecchini) – Strana la vita. Ci stavamo preparando a scrivere un articolo sul fatto che il «made in Italy» nella Roma va sempre meno di moda, quando l’attualità ha voluto confermare questo trend. Il bollettino a cura del professor Gemignani ha recitato impietosamente: «Totti ha accusato un trauma distorsivo importante e il ginocchio è un po’ gonfio, Se potrà giocare lo si vedrà nella rifinitura di sabato; Balzaretti ha una contrattura o una elongazione al flessore della coscia destra (oggi gli esami, ndr), mentre Florenzi accusa un affaticamento ai flessori». Morale: contro l’Udinese l’unico italiano in campo rischia di essere Daniele De Rossi(sì, l’ex epurato), scusandoci con Osvaldo perché non possiamo non ricordare la sua fiera origine argentina.

Straniero è bello Tutto sommato, quasi una conferma fatalistica dell’indirizzo esterofilo che sta vivendo la società giallorossa. D’altronde difficile meravigliarsi, visto la vocazione internazionale che non può non avere un club di proprietà estera (Usa) e con una parte importante del management appunto straniero. Le cifre qui accanto, infatti, illustrano come dal 2004 — stagione in cui il campionato di Serie A è diventato a venti squadre — nella Roma l’andamento dell’utilizzo degli stranieri in campo sia andato generalmente a crescere. Dall’inizio dell’era Di Benedetto-Pallotta, poi, c’è stata una accelerazione netta, visto che il minutaggio degli italiani è sceso al 30,1% del 2011-2012 e al 34,9 dell’attuale, visto che gli italiani impiegati sono stati solo 6 contro i 13 stranieri. Quasi un dimezzamento, se si pensa che nel primo torneo a 20 club gli italiani erano il 66,9%.

Mercato più facile A pensarci bene, il trend giallorosso è quasi speculare a quello che altre società (Inter, Juve e Milan su tutte) negli ultimi anni stanno cercando di perseguire, ma in linea invece con tendenze da anni radicate all’estero. A Roma, forse, tutto questo desta più curiosità perché per tanto tempo si è vissuto su una retorica di romanità in «stile basco» che ha visto puntare su tanti «prodotti» locali: Aquilani, Bovo, Curci, Ferronetti, Galloppa, Pepe, Rosi e altri ancora, che si sposavano con un vertice con profonde radici romane (la famiglia Sensi e il d.s. Pradè). La «rivoluzione», però, ha conservato le fondamenta solide rappresentate da Totti e De Rossi (a cui si è aggiunto Florenzi), senza contare la permanenza tra i dirigenti di Tempestilli e Conti. Certo, la vocazione di puntare sul mercato estero (e sugli stranieri in generale: ieri la voce, smentita, su Ilicic del Palermo) è aumentata, arrivando a coinvolgere anche la Primavera, ormai ricca anche di precoci talenti stranieri, quando prima invece rappresentava davvero il palcoscenico dei migliori prodotti del bacino giovanile locale.
Speranza Destro Filosofie diverse, quindi, che di sicuro hanno in comune la volontà di vincere e, se possibile, di non spendere troppo sul mercato. Cosa che non è successo in estate col corteggiatissimo Destro. A proposito, ieri a sorpresa — proprio quando la preoccupazione per Totti è lievitata — è tornato a riallenarsi in gruppo candidandosi per un posto da titolare. Una buona notizia per Zeman e per chi ama il «made in Italy». Ma in tempi di globalizzazione il rischio, in fondo, è quello di sentirsi fuori moda.


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