(L. Garland0) – Ci era sembrata di riconoscerla, all’inizio. Come una cara amica scesa dal treno che da tempo non dava segno di sé: ecco l’Italia dell’Europeo.Tre palle gol in otto minuti, il vantaggio di Pirlo all’11′, palleggio, pressing alto, possesso… Falso allarme. Non era proprio lei. L’Italia ha poi sofferto a lungo contro la modesta Armenia (64a nel ranking Fifa) subendo il pareggio dell’indiavolato Mkhitaryan e rischiando il peggio. Salvata da Buffon, ha trovato la forza per allungare nel finale, più di orgoglio che di gioco, con i gol di De Rossi e Osvaldo, gli epurati di Zeman. Tre punti che ci fanno primi e soli nel girone, ma che lasciano a Prandelli ancora la ricerca dell’intensità perduti.
Attacco spento Il gol di Osvaldo non cancella l’impressione di un attacco ancora una volta spento, a dispetto delle tante occasioni create. Giovinco ha sprecato un’altra occasione di lancio. La febbre che ha messo a letto Balotelli ha fiaccato tutto il reparto, che ha trovato però in El Shaarawy buona vitamina: autoritaria e talentuosa la sua mezz’ora finale. Per il c.t. molto più di un’opzione. Il migliore tanto per cambiare è stato Pirlo: gol, assist e altro. Si è portato a due sole presenze dalle 94 del mitico Facchetti. Vecchio? Noé quando parcheggiò l’arca da queste parti aveva 600 anni e ne visse altri 350. Pirlo è un bambino. L’inizio ci illude. Partenza sprint, vantaggio, ma soprattutto un atteggiamento confortante, diverso rispetto a settembre: subito a caccia della palla. Marchisio e De Rossi la braccano al limite dell’area armena. Montolivo si abbassa regolarmente a dialogare con i tre mediani e rivediamo la bella circolazione che avevamo dimenticato. L’azione del vantaggio è un bigino del calcio che chiede Prandelli: c’è la punta dinamica (Giovinco) che rincula per creare spazi e lanciare; c’è l’esterno (Criscito) che arriva fino in fondo; c’è l’interno (Montolivo) che aggredisce l’area innesca il fallo di mano di Mkoyan, che Pirlo dal dischetto trasforma in 1-0.
Lo diceva Lucescu Tutto come disegnato, armeni intimiditi al limite della rassegnazione, con le loro due linee strette (4-4-1-1). Solo che dopo una ventina di minuti di governo, l’Italia abbassa i ritmi, come detesta Prandelli, cominciamo a giocare da fermo. Invece di palleggiare, la buttiamo lunga convinti che il raddoppio verrà comunque. I 6 fuorigioco in cui incappiamo nel primo tempo dimostrano l’esagerata leggerezza di questi attacchi svogliati. Scavalchiamo la fatica di lavorare nello stretto, portare uomini in fascia e incursori in area. Il calo di intensità è grave anche in fase di non possesso, perché si allargano spazi che Mkhitaryan comincia a fiutare minaccioso. Scappa una prima volta a Bonucci che si salva con un’ammonizione; la seconda volta imbocca un’inspiegabile prateria e arriva fino a Buffon, fulminandolo (28′): 1-1. Ci aveva avvertiti l’amico Lucescu che la stella dello Shakhtar fa cose da Kakà.
Niente attenuanti È vero che nell’azione c’è un fallo su Maggio e che un minuto prima era sfuggito all’arbitro un rigore su Bonucci. Il pessimo fischietto croato completa la triade di strafalcioni graziando Mkoyan, già ammonito, che tocca di mano volontariamente. Ma è vero anche che l’esterno Maggio lì in mezzo al campo segnala una squadra completamente fuori asse, con De Rossi in vano recupero da terzino. E poi, tirare la giacchetta all’arbitro con l’Armenia, un filo imbarazza. Come imbarazza l’inizio ripresa che dominano loro, per la gioia del popolo. Serve un prodigioso Buffon al 12′ per scrostare un gol di Manoyan, assistito dal solito Mkhitaryan, sfuggito a un disastroso Bonucci.
Happy end È qui, nel momento del possibile naufragio, con Marchisio mai cosi grigio, che l’Italia invece risale, aggrappata a Pirlo, e spinta da Maggio e Criscito, protagonisti di un buon finale. Una pennellata di Pirlo manda in gol De Rossi (19′), nel giorno in cui aggancia Tardelli, Bergomi e Franco Baresi a 81 presenze e sale a 12 reti azzurre, due meno di Rivera. Una punizione del romanista manda il gol Osvaldo (37′) e scaccia la paura. Prandelli intasca la 15a vittoria in 30 partite. Una vittoria pesante. Ha ragione il c.t.: arrivare in Brasile è più difficile di quel che sembra. L’inizio di ieri ha dimostrato che certe cose belle la sua Italia le sa fare ancora, il finale che la squadra è cresciuta di gambe e di cuore rispetto a settembre. Ora non resta che mostrare tutto (gioco, gambe e cuore) per una partita intera. Facciamo martedì a San Siro?