(A. Gozzini) – Il viaggio era appena iniziato, una delle prime soste fu ad Avellino, nove anni fa: l’incrocio sul campo era continuo, Zeman alla guida della prima squadra, Paolucci a dirigere la Primavera. Il tragitto ripartì su due strade parallele: «Onestà nel lavoro, e calcio propositivo. I più importanti insegnamenti che ho ricevuto da Zeman sono questi, uno sul piano umano, l’altro sul lato professionale».Silvio Paolucci, 52 anni lunedì, è l’allenatore del Como-rivelazione, in pista da anni (partito nel 1979 come centrocampista dell’Ascoli, casacca numero 7), svoltato in corsie che contano solo un paio di stagioni fa: «Ho smesso di giocare tardi, a 40 anni. Poi ho fatto tante panchine in serie D e nelle giovanili». Ok, c’è stata qualche deviazione che ha allungato il tragitto: «Ho fatto scelte sbagliate, sarei potuto arrivare prima in Lega Pro. Ora devo molto al Chieti e a Gibellini, che ha scelto di portarmi qui a Como». La sosta in Lombardia è l’ultima del viaggio, 656 chilometri da Tollo (Chieti), base di partenza: «Lì ho tutta la mia famiglia, tranne Luca, il mio figlio più piccolo. Ha 16 anni e ha scelto di seguirmi fino a Como».
LACRIME Inversione di marcia, si torna all’estate 2011, ingresso in carreggiata Seconda Divisione, come guida del Chieti, primo tour tra i prof. Percorso a ostacoli (superati) fino alla finale playoff, persa contro la Paganese. Stagione comunque percorsa a grande velocità, il d.s. del Chieti (Alessandro Battisti) ricorda il felice itinerario insieme: «Dopo la prima vittoria in casa lo vidi uscire di fretta dal campo con le lacrime agli occhi. Pensavo fosse l’emozione del primo successo. Invece la scena si ripeteva dopo ogni vittoria: lui usciva veloce, senza farsi vedere, con la stessa faccia commossa. Era il segno evidente di quanto tenesse al lavoro». Altra distanza: Chieti-Pescara, diciotto chilometri, quelli che un anno fa separavano Paolucci da Zeman. Secondo incrocio dopo anni: «E infatti ci siamo rivisti spesso, appeno potevo andavo a seguire un suo allenamento. Ma di Zeman ne esiste uno solo». Si può però provare a seguire la rotta tracciata: un anno fa Paolucci giocava con il 4-2-3-1, quest’anno è passato al 4-3-3, dodici gol fatti in sei partite, porta inviolata in una sola occasione: «L’importante è segnare un gol in più degli altri. Scherzi a parte, so di dover registrare al meglio anche la difesa. E speriamo che quest’anno vada bene, anzi meglio, dell’anno scorso». Buon proseguimento.