Vittoria doveva essere e vittoria è stata. Partendo da questo assunto dai connotati fondamentali, la gara con l’Atalanta non è stata avida di spunti: una vittoria importantissima che però ha mascherato tante lacune, tattiche e tecniche, evidenziando una squadra in forte crisi di identità, dipendente eccessivamente dalle giocate straordinarie di qualche singolo, su tutti Francesco Totti. A corroborare la digressione vi sono i primi 20 minuti del primo tempo nei quali si è svolto un vero tiro a segno degli avversari, che per fortuna hanno sprecato di tutto e di più, anche grazie ad un paio di interventi di Maarten Stekelenburg, che dopo il momento non proprio idilliaco culminato con l’esclusione in nazionale sembra aver risposto finalmente presente, pur denotando la ormai stranamente consueta poca attitudine alle uscite in presa alta, fatto molto strano per un portiere di 198 centimetri che dovrebbe fare delle prese aeree uno dei suoi cavalli di battaglia.
IDENTITA’ – Il conseguimento del risultato con gli orobici non è stato figlio di una prestazione zemaniana: La squadra infatti sembra mal interpretare i dettami tattici del tecnico boemo, non riuscendo a mettere in pratica tutti quei movimenti che portano ad esprimere un gioco spumeggiante, sintetizzabile con l’azione nella quale Mattia Destro ha colpito la traversa, servito di testa dal taglio di Lamela in profondità. Davvero troppo poco in considerazione del fatto che la squadra ha avuto l’opportunità di compiere ben due ritiri, Riscone ed Irdning proprio per assimilare al meglio lo stile di gioco dell’allenatore. Il fatto che dopo 6 partite, al di la dei risultati non proprio esaltanti, la squadra giallorossa non sia mai riuscita a mettere in campo quell’intensità e quella velocità di manovra atte a valorizzare le movenze in profondità degli attaccanti, sempre abbondantemente in gol nelle squadre di Zeman, preoccupa alquanto. I calciatori infatti sembrano avere una crisi di rigetto al modulo, apparendo per alcuni tratti del match a dir poco spaesati e vincolati alle giocate del singolo, in grado di creare situazioni di gioco poco convenzionali, una variabile che fa la differenza nel calcio ma che evidenzia la carenza di un’organizzazione di gioco ben distinta. Ad esempio il gol del 2-0 nasce su un fatto episodico e si fonda sulla posizione di un calciatore, l’americano Micheal Bradley, che in quell’occasione, seguendo lo spartito del boemo non avrebbe dovuto trovarsi in quella parte di campo; se è vero che alcune volte sono proprio le variabili fortuite ad incidere sul risultato è altrettanto vero che una squadra consapevole non può sempre sperare di avvalersi dell’episodio giusto.
STRUTTURA – L’impressione di fondo è che la società abbia sbagliato alcuni investimenti, non dotando l’allenatore scelto, di quelle risorse fondamentali al suo gioco, senza peraltro tenere conto degli elementi già presenti in rosa, i quali per la maggior parte non risultano in grado di esprimersi al meglio nello scacchiere tattico di Zeman. Un nome su tutti è quel Miralem Pjanic calciatore dai piedi squisiti che però manca del dinamismo proprio dei centrocampisti incursori necessari ad un gioco di questo tipo, motivo per il quale Florenzi e Marquinho che hanno più gamba rispetto al bosniaco, pur non disponendo di una tecnica eccelsa hanno trovato maggior spazio(complice anche vari infortuni). Pjanic in carriera ha sempre agito da trequartista, centrale o laterale sulla fascia destra, ruolo che riveste con la selezione del suo paese, la Bosnia che attua un 4-2-3-1 con Miralem posizionato tra i tre trequartisti a supporto di Dzeko. Benché il boemo insista nel cercare di fornirgli la giusta collocazione in campo,proprio in virtù dell’elevato tasso tecnico del ragazzo, fin ora nelle poche occasioni in cui è sceso in campo Miralem ha dimostrato di non disporre di quelle caratteristiche necessarie allo sviluppo della manovra. Lascia perplessi nell’immediato l’investimento di Mattia Destro, ottima punta ed in prospettiva futuro campione, che entra nel novero dell’ennesima punta centrale in un reparto che poteva già contare su Osvaldo e Totti il quale si è reinventato esterno d’attacco, atipico ai concetti di Zeman, assurgendo più che altro ad un rifinitore, non avendo nelle corde a 36 anni, lo scatto ed il dinamismo per tagliare in profondità dal lato verso il centro. Tutto questo per dire che l’identità della squadra risente fortemente dell’assenza di alcuni elementi congeniali al modulo, mentre abbonda di calciatori con caratteristiche simili e poco adatti ad un impianto di gioco dinamico come quello di Zdenek Zeman, motivo che quindi spiega seppur parzialmente le difficoltà nel proporre quel tipo di calcio.
LE SCELTE DI ZEMAN – Coloro che, salendo le scalinate dell’Olimpico, hanno visto scaldarsi con la pettorina Burdisso,Osvaldo e De Rossi, non credevano ai propri occhi. Ebbene il boemo in un momento decisivo decide di rinunciare al cosiddetto zoccolo duro che per la verità ha disatteso in quel di Torino, per affidarsi alla linea verde. Le motivazioni di queste scelte sono molteplici e variegate tra di loro, individuabili sotto diversi aspetti: Per quanto riguarda Burdisso, il difensore argentino dopo la debacle con la Juventus ha avuto un confronto nel quale contestava l’ipotesi di giocare con una difesa, a suo avviso troppo alta, rispetto a quelle che sono state nel corso del tempo le sue abitudini, da arcigno difensore qual ‘è. Per tutta risposta Zeman lo ha escluso dalla formazione iniziale a vantaggio di Marquinhos il quale ha sempre impressionato a Trigoria tanto che l’allenatore giallorosso attraverso vari esperimenti aveva palesato la necessità e la volontà di ritagliare uno spazio al giovane difensore brasiliano, provandolo prima nella posizione di terzino sinistro, poi in quella di terzino destro, per finire con l’assegnargli una maglia da titolare nella sua posizione, al centro della difesa, al fianco del connazionale Leandro Castan che con le sue buone prestazioni si è garantito la prima chiamata nella Selecao. Marcos non ha tradito la fiducia riposta in lui, sfoderando una prestazione convincente, sbrogliando molto spesso situazioni pericolose e tappando in più di un occasione qualche svarione di posizione di Ivan Piris che a parte qualche incertezza di troppo ha mostrato una volontà apprezzabile, anche se c’è ancora molto da lavorare. Nella conferenza post-gara Zeman ha speso parole di elogio per Burdisso motivando l’esclusione con uno stato di forma carente, dicendo comunque di volere nella sua squadra almeno altri 20 giocatori con il suo temperamento, a sottolineare l’impegno del bandito. Stesso discorso per Osvaldo, punito con l’esclusione dal tecnico boemo il quale non ha gradito il poco impegno profuso in allenamento dal calciatore ritenuto come il più talentuoso in forza alla Roma dopo Totti, e proprio per questo da lui si attende il meglio.
DE ROSSI – Caso a parte per l’esclusione di Daniele De Rossi. Tra i due il feeling era già scarso e dopo la sconfitta di Torino è giunto ai minimi termini. Diversi i nodi da sciogliere tra i due: il primo è certamente la posizione, in quanto Daniele si sente più a suo agio nel ruolo di vertice basso, davanti alla difesa, nel quale si è riciclato progressivamente nel corso della sua carriera; Zeman invece per quel ruolo preferisce Tachtsidis .regista puro che al di là di qualche prestazione a fasi alterne è sicuramente più geometrico del centrocampista di Ostia, evidenziando grande attitudine alla verticalizzazione, peculiarità non propria di De Rossi che invece porta più il pallone in modo ragionato rallentando l’azione. Zeman peraltro ha detto in conferenza, più volte di volerlo utilizzare da intermedio, ruolo che ricopre alla perfezione in nazionale, dove il vertice basso è Pirlo. Oltre alla querelle tattica, tra i due vi sono punti di vista divergenti sulle modalità di allenamento, emersi nel confronto con la squadra dopo la partita con la Juventus nel quale De Rossi si sarebbe fatto portavoce di una nota di dissenso in merito all’ inutilità della doppia seduta, criticando l’eccessiva durezza degli allenamenti giudicati non incisivi nella vittoria. Il boemo per tutta risposta quel giorno attuò una seduta improntata su gradoni ed addominali. Queste motivazioni unite ad alcune dichiarazioni di Capitan futuro antitetiche a quelle di Zeman, con frasi del tipo, “è una partita di calcio non una crociata” oppure “chi parla di scudetto fa il male della Roma” hanno generato una situazione per la quale un patrimonio della società che ha operato sul suo contratto l’investimento più corposo, venisse escluso, almeno temporaneamente dai piani tattici dell’allenatore.
SCENARI – I possibili scenari in tal senso sono due: o si va verso una rottura definitiva del feeling con i senatori, oppure coloro che sono stati messi in discussione, proprio per smentire le scelte del mister lavoreranno sodo per riprendersi le posizioni che gli competono, cercando di remare tutti dalla stessa parte, lasciando da parte personalismi di varia sorta, in nome di una professionalità che non deve mai venir meno, neanche nei momenti difficili. In questo senso le migliori risposte le hanno date Simone Perrotta, esempio di correttezza e abnegazione, il quale escluso dal ritiro e messo in lista cessioni, praticamente fuori rosa, con il sudore ed il lavoro si è conquistato la chiamata di Zeman e lo stesso Nicolas Burdisso il quale con la solita grinta e determinazione che ne hanno contraddistinto una carriera intera, ieri è sceso in campo venti minuti prima rispetto ai compagni di squadra confrontandosi con Cangelosi sui movimenti da eseguire. L’auspicio è che la pausa per le nazionali possa rivelarsi propedeutica ad una riconciliazione, in nome della Roma e dell’obiettivo terzo posto – ad oggi una chimera – che considerato il livello medio piuttosto basso del campionato italiano non sembra essere così fuori portata, condizione necessaria e sufficiente per rilanciare le ambizioni di una piazza sofferente.
Danilo Sancamillo