Chi nella propria vita non ha mai detto “Ti amo”? Una parola che, forse, nel tempo ha smarrito il suo significato più profondo. Certo, fa effetto sentirselo dire, o anche solo pronunciarlo, anche perché si ama chi ti sta più a cuore, chi ti sta vicino, chi ti è più dentro, radicato, aggrappato, alcune volte anche infiltrato infondo al cuore. Quel giorno però, quello storico 23 ottobre del 1983, la Roma se lo sentì gridare da migliaia di persone, da una curva intera, una città: dal bambino con la sciarpetta immacolata, fino a chi aveva incisi addosso i segni di una passione. I giocatori potevano vedere l’amore che solo una tifoseria leggendaria come quella giallorossa, poteva riuscire a trasmettere fin sotto la pelle, fino al cuore. Sono passati 28 anni, la Roma quel giorno vinse, chissà se per quello striscione, passò sopra la Lazio con Pruzzo e Nela. Due uomini tanto duri, quando bambini di fronte a quella bellezza. Fu l’apice. La curva sud era talmente in alto, che persino il più estremo dei Felix Baumgartner, avrebbe avuto paura di guardare giù, infondo al cuore di migliaia di romanisti. Da quel giorno, quello striscione è rimasto nella storia del calcio come simbolo di un giuoco che non c’è più, che è passato ai fax e che insulta i morti. Quello striscione oggi ha un anno in più, e il tempo, purtroppo e inesorabilmente, passa per tutti. Chissà dove sarà finito, magari in qualche cantina, rovinato dagli anni che però non sono passati invano. E allora grazie, perché i ricordi restano anche con un po di polvere sopra e perché oggi dirlo, ha tutto un altro senso. “TI AMO”.
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A cura di Flavio Festuccia