Da dieci giorni a questa parte, ossia da Roma-Atalanta a Italia-Danimarca dell’altro ieri sera, si è parlato prevalentemente dell’esclusione (e di una incrinatura nei rapporti con Zeman) di De Rossi e Osvaldo (e Burdisso) nell’incontro giocato il 7 ottobre contro i bergamaschi, vinto dalla compagine giallorossa per 2-0. Esclusioni che, ovviamente, hanno portato una scia di polemiche infinite, incrementate poi dalle buone prove dei due azzurri contro Armenia e Danimarca. De Rossi (gol in ambe due le sfide disputate dalla nazionale) più di Osvaldo, attore in negativo nella sfida contro i danesi, dove ha rimediato un’espulsione al 16” del secondo tempo dopo aver rifilato una manata al volto di Stokholm, che comunque è andato in gol contro gli armeni.
Il protagonista, sia per una questione di cuore, sia di aspettative, è stato Daniele De Rossi. E’ infruttuoso riassumere la settimana andata in scena nella capitale, lo facciamo con le parole chiave: cessioni a gennaio/giugno, PSG/Man City/Real Madrid, litigi con Zeman (veri e/o inventati), non vuole giocare intermedio ma solo mediano, non gioca da 3/4/5 anni, è sovrapagato (dimenticando che se fosse andato via a giugno avrebbe preso molto di più di quanto percepisce alla Roma), è uno scansafatiche, in nazionale dà quello che non dà nella Roma e, parole di Zeman, pensa agli affari suoi piuttosto che a quelli della squadra.
Analizzare tatticamente il problema intermedio/mediano è inutile, visto che il boemo è forse l’allenatore più integralista del mondo, e difficilmente cambia idea su un giocatore, ma una breve analisi la possiamo evincere: da intermedio può, sfruttando le sue egregie capacità di inserimento, segnare di più, come ha dimostrato in nazionale nelle ultime due uscite degli Azzurri. Un conto però è farlo con Pirlo, un’altro è farlo con il Tachtsidis acerbo visto finora.
Un capitoletto merita anche il trattamento che la maggior parte del mondo Roma ha riservato a Capitan Futuro (?): in 6 parole Zeman, che ha tutto il diritto di fare le sue scelte essendo l’allenatore ma è diventato una sorta di feticcio in questa città, ha distrutto ed ha fatto scordare la “giugulare”, il bacio alla maglia, il “ho solo un unico rimpianto, quello di poter donare alla Roma una sola carriera”, il “la Roma la amo troppo, viene dopo mia figlia”, l’ultimo ma non meno romantico “una scelta fatta 6 mesi fa, o meglio 30 anni fa”, l’arrampicata sulla vetrata della Sud dopo il quinto derby vinto consecutivamente ecc., trasformando De Rossi, nella mente dei tifosi, in uno scansafatiche, lavativo, che critica ma non si impegna.
Nella Roma, dal magazziniere a Pallotta, sono stati commessi degli errori e prendere le difese o le parti di uno (De Rossi, che ha indubbiamente sbagliato nelle dichiarazioni e, probabilmente anche sul campo dove evidentemente non ha convinto l’allenatore) o dell’altro, (Zeman, che ha comunque indovinato la scelta, vista la vittoria per 2-0 contro l’Atalanta, ma con una prestazione pessima a livello di gioco, cosa che spesso sembra quasi più importante come si deduce da dichiarazioni del tipo: “il risultato è casuale, la prestazione no”) sarebbe ed è sbagliato: ora si raggiunga un’intesa per il bene della Roma perché, dopo la settimana dell’ “Io sto con…”, è meglio la vittoria dei consensi personali.
Giovanni Parisi