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(U. Trani) Incompiuta. Questa è oggi la Roma. Soffocata, quasi stritolata, dal grande dubbio della piazza che, intanto, comincia a criticare pure Zeman: il rischio di un nuovo flop della squadra, nonostante siano stati spesi, in poco più di un anno e mezzo, 70 milioni di euro al netto delle cessioni. Il gruppo giallorosso, a vedere il deludente rendimento nelle prime 9 giornate del torneo, rischia di non recitare da protagonista, ruolo che gli era stato cucito addosso dal management italiano, su input della proprietà statunitense che lo vorrebbe già competitivo.
Tutto ruota, come nella prima stagione della nuova éra, attorno all’allenatore. Dal gioco orizzontale, il tiqui taca di Luis Enrique, ecco quello verticale, sempre 4-3-3, di Zeman. Ma la Roma, cambiata radicalmente pure all’inizio di questa annata, non decolla. L’equivoco è legato, più che un anno fa, all’aspetto tattico. L’idea di calcio del tecnico di Praga è una. Una e basta. E i giocatori devono essere giusti per quella. Quindi l’ambiente si tormenta sulla decisione presa dai dirigenti: per ingaggiare uno come il boemo la prima cosa da fare era allestire un organico fatto su misura per il suo credo. Prendendo atto delle difficoltà di alcuni big (anche giovani), questo non è successo.
Allenatore sbagliato o calciatori inadatti al suo sistema di gioco: un errore o l’altro, il problema spaventa. Saremmo di fronte a una strategia che non porta da nessuna parte. Perché per risolverlo bisognerebbe mandare via il primo o rifondare nuovamente l’organico. Due strade che, a stagione in corso, non sono praticabili e che nessuno dentro Trigoria, e nemmeno a Boston, vuole prendere in considerazione. Le perplessità sulla gestione tecnica che rimbalzano nella capitale da oltreoceano sono accertate, nonostante Sabatini si sforzi di proteggere Zeman, magari spingendolo a trovare, cosa accaduta anche nel colloquio che ha avuto ieri con il tecnico, gli accorgimenti giusti per ottenere la continuità di risultati che manca alla Roma. Di sicuro il ds gli ha chiesto di avere maggiore attenzione per il reparto arretrato, il peggiore della serie A con il Chievo: 16 reti subite. Baldini, dopo il crollo contro l’Udinese, lo ha invece detto anche ufficialmente. Il dg ha elogiato la fase offensiva, bocciando inesorabilmente quella difensiva.
Baldini l’anno scorso non ha mai preteso un obiettivo da Luis Enrique. Adesso è sicuramente più esigente: «Siamo convintissimi di avere messo a disposizione dell’allenatore, e con la sua complicità, una rosa molto forte. Una squadra che ha come ambizione quella di vincere e farlo anche piuttosto alla svelta». Anche domenica sera ha dato come riferimento la zona Champions, lontana 7 punti. Il dg è passato dall’affetto per l’asturiano, per lui sempre Luis, alla freddezza per il boemo, solo l’allenatore. Un po’ più tenero Fenucci. L’ad, anche ieri, ha evitato di mettere pressione al tecnico: «L’obiettivo è fare meglio dell’anno scorso e raggiungere, se possibile, una competizione europea. Stiamo aspettando che la Roma possa pian piano crescere e dare le soddisfazioni che i tifosi meritano. Zeman, però, no ha bisogno di essere difeso: mancano tante partite, possiamo recuperare». Posizioni più che distinte tra loro.
I giocatori osservano ma, forse, non capiscono. I differenti punti di vista (qualcuno li considera schieramenti) nella dirigenza e le idee dell’allenatore in campo e nello spogliatoio. Ieri un altro discorso, prima dell’allenamento. Zdenek che rivisita il match con l’Udinese e soprattutto il calo di concentrazione e di ritmo. Gli interpreti non giocano contro. Ci mancherebbe altro. Manca, però, la convinzione nel seguire, sempre e comunque, il boemo. Quando vuole attaccare senza pause, vietando di gestire la gara, quando urla per alzare la linea difensiva e quando sceglie di dare posizioni non gradite ad alcuni. Sembra niente. Perché basterebbe poco per arrivare al compromesso che aveva funzionato a Marassi. È, invece, tantissimo.