(U. Trani) – «Ma quali dimissioni. La squadra gioca, anche se a sprazzi. Sarebbe un guaio se non lo facesse mai nei novanta minuti. Deve solo trovare la continuità. Per me è sempre da terzo posto e può sfidare alla pari tutti, non è successo solo a Torino contro la Juve». Zdenek Zeman accetta il processo. Ma si assolve in fretta, chiedendo solo un po’ di pazienza per permettere al gruppo di conoscerlo meglio. «Non faccio il tifoso. Lavoro per il bene della Roma e non contro. Non vivo di simpatie e antipatie».
La trasferta in Emilia ha però il sapore forte dell’esame. Per lui più che per i suoi giocatori che, stasera al Tardini, affrontano il Parma di Donadoni. Il boemo non si sente in pericolo. «Nessuno dei dirigenti mi ha detto che vacillo». E su questa frase costruisce la sua difesa che si basa anche su qualche contraddizione. Pure sul mercato di quest’estate: «La prima Roma era stata fatta sulla carta, poi c’è quella sul campo. Le valutazioni vengono da quello che stiamo facendo in settimana».
Insomma le scelte di oggi non sono quelle di ieri: di qui spiegate alcune esclusioni eccellenti e non definitive. Giuste, per lui. Perché, nonostante il rendimento fiacco della Roma, è sicuro di aver imboccato la strada del successo: «Non è azzerata la nostra crescita, se prendevamo i sei punti delle gare contro Bologna e Udinese non si diceva così. Domenica sera la squadra ha giocato un buon calcio, soprattutto all’inizio e anche in gran parte del secondo tempo. Purtroppo paghiamo certe distrazioni. Io sarò sempre il responsabile dei cali, ma noto errori dei singoli più che di squadra. Posso fischiare quanto voglio dalla panchina, se però non cambia l’atteggiamento…». Già, colpa dei singoli. E non degli avversari che conoscono bene il comportamento dei giallorossi: «Dopo la prima mezz’ora potevamo stare quattro a zero tanto eravamo prevedibili… E non è vero che duriamo venti minuti: a Genova abbiamo recuperato nel secondo tempo».
Torna sugli interpreti. «Le gerarchie mutano. A seconda di quello che vedo quotidianamente. Conta l’aspetto fisico, quello mentale». La Roma gli va bene. Ma avverte i protagonisti. «Non è vero che questi giocatori non vanno bene per me. Shalimov e Barone, quest’ultimo simile a Pjanic, erano tecnici e diversi da Tommasi e Di Francesco, due uomini di corsa. Basta giocare un calcio differente. Devono, però, fare quello che chiedo io. Questa rosa mi soddisfa e tutti possono essere utili e trovare posto. Il giochino che chi non gioca va ceduto, non mi piace. Non possiamo restare in undici». Si rivolge a chi spesso sta fuori e si lamenta: «Pjanic, come centrocampista, deve costruire e pensare alla fase difensiva, ma domenica non ha dato il meglio. Per me è importante, per la sua tecnica. Deve trovare la posizione giusta. Non da regista, non lo ha mai fatto. Anche Destro rimane giocatore importante: si gioca però in undici e tutti lo devono capire. Osvaldo in questo momento mi dà affidamento, come Totti e Lamela. Destro servirà e farà bene. Come Nico Lopez. Ma ora non ho esigenza di cambiare. E’ normale la concorrenza, tutte le squadre hanno rose ampie. Bisogna lottare per il posto».
Ammette nuovamente che qualche giocatore non lo segue: «Abbiamo tanti stranieri ed è normale che i nuovi, arrivati dal Brasile e dall’Argentina, ci mettano un po’ di tempo a inserirsi e a capire come funziona. Il problema è tattico. Si devono abituare ai cambiamenti che non vengono automaticamente». Soprattutto i difensori: «Non hanno ancora fatto gruppo: sono quattro, tutti i nuovi. E i due centrali o si abbassano o si fermano».
Non si vede testardo e anzi si considera disponibile ad ascoltare suggerimenti: «Bisogna avere idee e cercare di proporle. Chi non ne ha, non mi piace. Se mi vengono fatte richieste ragionevoli e hanno un senso, se ne può sempre parlare. Io ho le mie convinzioni e cerco di difenderle. Finché non trovo chi mi dimostra che sono sbagliate continuo con le mie». Elogia Donadoni che «sta facendo un ottimo lavoro. Il Parma non è da primi posti, ma gioca un calcio molto gradevole. E Amauri ha ripreso a segnare».