(G.Dell’Artri) – I brasiliani ce l’hanno sempre negli occhi visto che nella storia del nostro calcio un giocatore così brasiliano come Bruno Conti non c’è mai stato. Non a caso innamorò Pelè che nel 1982 lo definì Marazico. Anche per questo Globoesporte ha intervistato Bruno Conti, partendo proprio – non poteva essere diversamente – da Italia-Brasile dle 5 luglio 1982. «La parola giusta per definire quella partita è da antologia – esordisce Brunoconti tutt’attaccato – Era una sfida combattuta, chiunque avrebbe potuto vincere. Ma la nostra fame di vittoria ha fatto la differenza. Sapevamo che battendo il Brasile avremmo vinto il titolo. Quella partita era la vera finale del Mondiale. Abbiamo sempre creduto nella vittoria ma sapevamo che il Brasile era la squadra più forte. Loro ci hanno aiutato. Avevano due risultati su tre: hanno giocato per vincere e hanno finito per perdere. […]».
Dal 15 al 20 dicembre a Nogueira, a Petrópolis, nella regione montuosa di Rio de Janeiro, attraverso il progetto coordinato da Conti, la Roma farà un campus per i bambini dagli 8 ai 14 anni.
«Lavorare con i giovani è quello che so fare meglio. Lavoro con ragazzini da oltre 20 anni. Tutti possono vedere se un ragazzino è bravo o no con il pallone. Il segreto è quello di capire cosa farà quel bambino in 2 o 3 anni. Bisogna capire se può affermarsi. Ci vuole una visione globale di come un settore giovanile può crescere».
Sulla sua passione per il Brasile.
«Vado sempre in vacanza in Brasile con Pedrinho (Vicençote, ex giocatore e attuale manager, ndr) e Ciccio Graziani. E gioco sempre a footvolley sulla spiaggia».
Su Renato Portaluppi e Falcao.
«Mi ricordo bene di Renato. Grande forza fisica, grande tecnica, un po’ egoista. Ma con la palla riusciva sempre a fare qualcosa di imprevedibile. È stato un peccato che non si sia adattato a Roma. Ma abbiamo avuto un grande rapporto. Falcao è stato un grande giocatore e una grande persona. Era incredibilmente intelligente sul campo, ha dato alla squadra la sua capacità tattica e la voglia di vincere. Un professionista esemplare che ha fatto crescere la Roma per vincere il titolo italiano e arrivare alla finale di Coppa Campioni».
Sul suo rapporto con Roma e con la Roma.
«Roma è una realtà unica. Solo chi ha giocato con questa maglia storica lo può capire. Chi è nato a Roma lo sente ancora di più. Ma succede anche con gli stranieri: Aldair, per esempio, è diventato un cittadino romano, giocando 13 anni con noi. Difendere i colori di questa squadra è qualcosa che entra nel cuore e non se ne va più via. Ad esempio Totti e De Rossi, due che hanno legato la loro vita alla Roma».