(C.Zucchelli) Ieri e oggi riposo, almeno per i giocatori. Domani, invece, il confronto dei dirigenti con la squadra – soprattutto – e l’allenatore. Mercoledì, al massimo giovedì, l’arrivo di Pallotta e le sue parole, di nuovo, con i dirigenti e con i calciatori. Poi, domenica, la partita contro l’Atalanta, col presidente in tribuna e i tifosi sugli spalti, che di certo non accoglieranno la squadra nel migliore dei modi. Sabato notte a Fiumicino, quando la Roma è rientrata da Torino, ce n’erano appena una quindicina e l’umore non era dei migliori. Ieri, su Internet e nelle radio, in molti hanno sfogato un’amarezza che, dopo tutte le delusioni della scorsa stagione, adesso sono ancora più difficili da digerire. Perché l’arrivo di Zeman aveva riportato tanto entusiasmo, spento dalle prestazioni della squadra, dai risultati – una sola vittoria sul campo finora – e, soprattutto, dall’atteggiamento con cui tutti si sono presentati sabato sera allo Juventus Stadium. A Trigoria sono perplessi, si interrogano, analizzano. Non solo al Bernardini però visto che Pallotta non ha preso bene la disfatta di Torino. E non per il risultato, visto che una sconfitta contro i campioni d’Italia poteva essere messa in preventiva, ma per il modo in cui è arrivata. Lo ha fatto presente ai dirigenti nell’immediato post partita, lo ribadirà in settimana quando arriverà a Roma. Sabatini e Baldini sono del suo stesso parere. Pensavano che la partita contro la squadra di Conte fosse uno spartiacque. Volevano vedere se la squadra, e il tecnico con lei, fosse pronta per competere ad alti livelli. La Roma in questo momento non lo è. Le parole di De Rossi lo hanno certificato, ma soprattutto lo ha certificato l’atteggiamento con cui la squadra ha affrontato la partita. E non si parla di impegno dei singoli (su questo, a Trigoria, nessuno ha nulla da dire), quanto piuttosto di qualcosa di diverso. Si parla di furore, cattiveria, adrenalina. Un esempio: sul 3- 0 per la Juventus, Vidal ha cazziato apertamente Vucinic perché non tornava abbastanza a centrocampo a dare una mano ai compagni. Un atteggiamento che la dice lunga sullo spirito con cui i bianconeri stavano in campo. La Roma no. La Roma è entrata molle e i dirigenti pretendono che la squadra spieghi loro il perché. Pretendono un’inversione di rotta perché nessuno vuole vivere una stagione come quella di Luis Enrique. I dirigenti non ce l’hanno con l’allenatore, sono convinti che abbia la forza per risollevare la situazione e sono convinti che la squadra lo segua. Ma, certo, se si dovessero accorgere che così non è potrebbero prendere in esame anche altre soluzioni. Al momento, comunque, non previste. La squadra, dal canto suo, ovviamente non sta vivendo bene questa situazione.
Dal ko col Bologna è come se ci fosse una sorta di blocco psicologico che accompagna tutti i giocatori. E non è solo un problema di gioventù visto che l’undici iniziale sceso in campo a Torino aveva come giovanissimi solo Lamela, Tachtsidis e Florenzi. Gli altri, daStekelenburg a Totti, passando per Taddei, Burdisso, Castan, Balzaretti, De Rossie Osvaldo, erano esperti e abituati a partite in cui la pressione è enorme. I giocatori seguono Zeman e su questo non ci sono dubbi. Dubbi però ne hanno sulla competitività della Roma. Totti, a Riscone, non lo aveva nascosto e aveva detto a chiare lettere che «non siamo ancora all’altezza di Milan, Juventus e Inter». De Rossi, sabato sera, ha ribadito che «non dobbiamo parlare di Scudetto. Possiamo arrivare in Europa, anzi dobbiamo farlo». I tanti giovani nel gruppo, alcuni dei quali non abituati alla serie A, alcuni equivoci tattici importanti (gli esterni contati, Piris bocciato, Dodò che non si sa quando tornerà, Pjanicche non ha una collocazione precisa, Tachtsidis che è troppo lento, Lamela che ancora deve ancora capire quali movimenti fare e che manca completamente di cattiveria sotto porta), una preparazione atletica importante che però ancora non dà i suoi frutti e i tanti infortuni di natura muscolari lasciano i giocatori perplessi. Serve un confronto, serve parlarsi. E serve farlo in fretta. Perché, e questa è l’unica fortuna di tutta questa situazione, siamo ancora a ottobre. E quindi una classifica che vede la Roma aver fatto (considerando lo 0-3 a tavolino di Cagliari) appena un punto in più del Pescara neo promosso può ancora essere riscritta. Deve essere riscritta. Deve farlo la società, chiamata a intervenire adesso sugli stimoli di un gruppo che rischia di non credere più nel progetto e deve farlo – assolutamente – sul mercato a gennaio. Servono almeno un terzino destro – Taddei si impegna, ma un esterno, specie se “zemaniano”, è un’altra cosa e Piris sembra bocciato – e un centrale pronto. Deve farlo l’allenatore, a cui si chiede di spronare il gruppo e di far rendere al meglio quei giocatori, come De Rossi, Destro o Pjanic, che adesso sembrano troppo in difficoltà, non solo fisica. E deve farlo anche la squadra. I senatori devono guidare i più giovani perché l’entusiasmo, che pure molti di loro hanno, in serie A non basta. E si è visto a Torino: se allo Juventus Stadium, dove in 270 minuti hai preso 11 gol segnandone appena 1 su rigore, il migliore in campo è un ragazzino che l’anno scorso giocava nel Crotone evidentemente qualcosa che non va c’è. Sabatini è stato l’unico dirigente a parlare nel post partita. Nessuna discussione con Baldini – nel pomeriggio di ieri circolava questa voce, smentita immediatamente – semplicemente c’è stata la precisa volontà del ds di metterci la faccia perché le scelte tecniche sono state le sue: «Abbiamo fatto scelte chiare e ora dobbiamo interrogarci se alcune magari non sono state felici. Forse abbiamo sopravvalutato qualche giocatore », ha ammesso anticipando un’analisi interna che proseguirà nei prossimi giorni e che dovrà approfondire anche il legame tra tecnico e squadra.
Sabatini spiegherà ai giocatori il senso delle sue parole: non era un’accusa a loro, era piuttosto una critica a se stesso per aver costruito una squadra che, finora, è stata incapace di fare quello per cui era stata pensata. Le parole di Sabatini non si riferiscono soltanto ai più giovani e inesperti, ma a tutto il gruppo. Si riferiscono a quei calciatori che dovrebbero prendere per mano la squadra e si riferiscono a quegli altri che, pur con un talento eccezionale, dovrebbero dare e fare di più. Stekelenburg, ad esempio. Che dopo aver preso 3 gol ha parato di tutto, come se si fosse liberato di una sorta di paura che, non si sa bene perché, lo accompagna. La società pensa che sia un grandissimo portiere e si aspetta che lo dimostri. Idem per quanto riguarda Lamela: sabato sera in campo ha discusso con Osvaldo, qualche altra parola grossa è volata negli spogliatoi, dove i giocatori erano tra il deluso e il nervoso, ma poi la questione si è chiusa lì. Anche se l’atteggiamento a volte indolente dell’argentino non piace a qualche suo compagno che, da uno coi suoi piedi, vorrebbe tanto di più. Tutti vorrebbero dare di più. Tutti devono dare di più. Questo è poco ma sicuro. Questo è quello che i dirigenti domani diranno alla squadra. Se i giocatori risponderanno o meno non è dato sapere, così come non è dato sapere se Zeman, che pure qualche battibecco con alcuni giocatori importanti lo ha avuto, anche a Torino, parlerà oppure no. Certe cose, e in fondo è anche giusto così, dovrebbero rimanere negli spogliatoi. Ai tifosi interessano relativamente. A loro interessa che figure come quella di sabato sera non si ripetano più.