(D. Galli) – Per vincere nel calcio, occorre un «allenatore rigido». Serve un leader, ma servono pure dei calciatori pronti a dire «io voglio e lo faccio, non io vorrei ma non posso». È dottrina zemaniana, è il suo modo di interpretare il calcio e il ruolo del tecnico. Al bando l’individualismo, si vince tutti insieme e si vince a patto di seguire un capo. Mentre fuori la pioggia cade incessante, costringendo la Roma ad annullare l’allenamento pomeridiano, alla Garbatella, per la prima giornata del Festival dell’intelligenza collettiva, va in scena un dibattito con Zeman e Piovani. Emblematico il titolo: “Oltre l’ego – L’etica della moltitudine: dalla squadra all’orchestra”. Zeman si accomiata con un invito, che vale per i giovani italiani ma può essere considerato buono anche per altri giovani, quella della sua Roma: «Svegliatevi! Andiamo avanti». «Sono visto – dice – come un allenatore rigido. Come tecnico ho la responsabilità per quello che si fa in campo e fuori, per questo cerco di conquistarmi la leadership. Cerco di farmi seguire. Il calcio è collettivo, ma col tempo è diventato molto individuale. Si pensa prima agli interessi personali che alla squadra. Risultati numerici e ludici, perché si deve divertire la gente che viene a vederci. I leader possono essere fatti in diverso modo. Si dice che io incuta timore, ma per imporsi non ci sono spartiti precisi, bisogna cercare di farsi seguire, col buon esempio, attraverso il comportamento personale».
Spartiti. Musica per Nicola Piovani. Dal Maestro di Eupalla al Maestro di Euterpe, dall’allenatore della Roma all’autore della colonna sonora di “La vita è bella”. Da un romanista all’altro. Con Piovani si parla di regole. «Beh, posso fare il paragone con l’orchestra – spiega – i musicisti hanno uno spartito, quindi rispettano le regole. Prima si vestivano di bianco perché dovevamo essere immacolati». La palla passa a Zeman: «Cosa porterei dal mondo del calcio a quello della politica? Comincerei con le regole. Noi in campo le abbiamo e le dobbiamo rispettare. E poi bisognerebbe trovare persone che non dicono “vorrei ma non posso”, ma che invece dicono “io voglio e lo faccio”». Zeman affronta il concetto base, quello su cui poggia il dibattito. «Il calcio è un gioco collettivo, ma col tempo è diventato molto individuale. Si pensa prima alle cose proprie che ai bisogni della squadra. Noi dobbiamo raggiungere risultati numerici, ma anche ludici perché dobbiamo divertire la gente che viene a vederci. È normale che si vorrebbero sempre ragazzi bravi, belli, forti, ma non sempre ci si riesce. Ma a me piace lavorare più con quelli con cui c’è da fare, da discutere. Con questi si comincia con le buone, poi si finisce con le cattive, magari con qualche esclusione dalla squadra, ma a me piace la gente che bisogna motivare, cui bisogna insegnare qualcosa». Il riferimento è all’ultima polemica, quella sorta per l’esclusione di De Rossi e Osvaldo. Il capo è l’allenatore. E se in settimana non si segue il capo, si finisce in panchina. Non vale solo per De Rossi e Osvaldo. Vale per tutti. «Nella Roma c’è armonia – sottolinea però il mister – i litigi durano poco, c’è armonia».
Il punto, per Zeman, è che sì «il talento conta tantissimo, è più facile, si è avvantaggiati». Però? Però «anche senza si riesce ad andare avanti. Chi tratta meglio il pallone si chiama artista – dice Zdenek – ma non è detto che 11 artisti battano 11 artigiani. Bisogna formare una miscela tra queste due categorie. E poi chi ha talento non deve accontentarsi, adagiarsi su quello che gli ha dato madre natura, ma lavorare ogni giorno per migliorarsi. Il calcio è un gioco collettivo, di squadra, e i più bravi devono essere in grado anche di aiutare quelli meno bravi». A Marassi è successo. I campioni si sono sdoppiati, hanno moltiplicato i ruoli, hanno dato una mano dove serviva. E la Roma ha vinto